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Quando il Duca Avarna sposò la bella Tava e fece suonare le campane di Gualtieri Sicaminò

Lavoro di ricerca curato da Salvatore De Maria mediante vecchie collezioni della Gazzetta del Sud e le teche della RTP di Messina

Sul Duca Giuseppe Avarna di Gualtieri nato a Roma nel 1916 e deceduto tragicamente nel centro della provincia tirrenica di Messina 21 febbraio 1999 si è scritto tanto e tanto ancora ci sarebbe da raccontare. La sua storia è narrata anche  da illustri storici e sulla rete si trova tanto da leggere. Dire che è stato solo un poeta italiano è troppo poco, seppur per una breve presentazione introduttiva al documento filmato che oggi proponiamo nella nostra rubrica “L’archivio racconta”. Si tratta di un servizio realizzato per il Tg della RTP nel maggio del 1988 dal giornalista Angelo Di Rosa, messinese, cresciuto nella redazione della Gazzetta del Sud, poi divenuto una delle firme della Gazzetta dello Sport. Il Duca Avarna, al termine di una serie di vicende che lo hanno visto in lotta con la propria famiglia - separarsi dalla prima moglie (Madga Persichetti sposata a Cortina d’Ampezzo nel 1941) e arrivare in tribunale persino con i figli per l’eredità- riesce a sposare la bella hostess  Tava Daetz nel municipio di Milazzo.

Giuseppe Avarna,  appassionato della politica, collaborò inizialmente con il Partito Nazionale Monarchico, successivamente con il Movimento sociale. Nel settembre del 1945 a Messina, fu tra i fondatori del movimento per l'autonomia della Sicilia, assieme a Francesco Paolo Lo Presti, Uberto Bonino, Gaetano Martino, Giuseppe Pulejo, Antonino Vaccarino e Carlo Stagno d'Alcontres. Nel 1970 partecipa alla stesura dei testi rivoluzionari decantati nella rivolta popolare dei moti di Reggio Calabria.

Nel 1980 lascia la famiglia e trasferisce la sua abitazione nella cappella sconsacrata adiacente al castello di Gualtieri. Si sposa in seconde nozze con Tava Daetz nel 1988, dopo una lunga attesa   per il divorzio. Testimoni i principi Grimaldi e Borghese.

Ma a balzare agli onori della cronaca, tanto da meritarsi un’intervista nella trasmissione Rai condotta dal celebre giornalista Enzo Biagi, fu il rito della campana. A quanto narrano le cronache, il Duca Avarna, sposata la bella Tava suonò per dodici lunghi anni la campana del castello di Gualtieri dopo aver fatto l’amore con l’avvenente hostess. Pare che lo facesse per far indispettire l’ex moglie che lottava contro il divorzio.

Morì tragicamente a 82 anni, il 21 febbraio 1999, nell'incendio della sua abitazione adiacente al castello di Gualtieri Sicaminò, entrato nella casa in fiamme nel tentativo disperato di salvare molti dei suoi lavori, ha combattuto il fuoco e gettato quello che poteva dalla finestra, le poesie e gli scritti.

 

Si scrisse tanto...

Un ritratto del Duca Avarna nell'articolo di Crisostomo Lo Presti pubblicato sulla Gazzetta del Sud all'indomani della sua tragica morte dal titolo E il suono della campana riempì la vallata ad ogni momento di ardore

Come Voltaire vedendo le fiamme forse ha esclamato «déjà»! 0 forse no. Forse l'inferno lo ha respinto grazie all'amore di Tava, bionda hostess dell'Oregon incontrata per caso e destino a Roma. Lei aveva 23 anni, lui Giuseppe Avarna, duca siciliano di Gualtieri Sicaminò e d'antico lignaggio, di stagioni ne aveva vissute 60. Ma il fuoco della passione non si arrestò di fronte al documento dell'anagrafe. Lei, molti anni dopo, disse: «Vivo e condivido la vita di Giuseppe Avarna, un uomo che ogni donna avrebbe voluto avere la fortuna d'incontrare nella sua vita!» E il suono della campana riempi la vallata ad ogni momento di ardore. Oggi il duca non c'è più, consumato dalle fiamme di un incendio maligno che lo ha sottratto alla sua bella e all'affetto degli amici. I parenti verseranno lacrime: forse! Ed è sempre il fuoco protagonista delle vicende dell'aristocratico che a 83 anni, nella sua ultima intervista rilasciataci sugli effetti (possibili: chissà!) del Viagra, si sottrasse (grande e raffinato amato-amante) alla lusinga della battuta e all'orgoglio di maschio isolano modellato sulle parole di Vitaliano Brancati, per dire semplicemente: «Alla mia età? Lasciamo perdere!» C'era in quelle parole di umiltà vera, l'orgoglio del vissuto: in fondo schermirsi è forma di autoironia mentre il macho è lontano con la sua volgarità di facile conquistatore.

È la mente; è il cuore; è l'anima che pulsano sull'onda dell'amore infuocato (triste destino) nell'athanor della fusione.' Il duca l'ha cercata per anni, passando dalle braccia di Magda Persichetti (la moglie) a quelle di Tava Daetz hostess e sirena ammaliatrice, venere e musa e i versi dell'anziano poeta, canuto e vissuto comparivano puntuali sui muri del castello per incorniciare fiamme di passione, maturata nel tempo sulla brace della coniugazione ritmata al crepitio del camino. Tava, sera per sera, telefonava da New York per dare la buona notte al suo uomo che immerso nelle carte di famiglia ricostruiva vicende dal sapore antico e dai ritmi di un passato scritto da antenati orgogliosi di indossare rigide feluche. Era il suo vivere d'oggi con la ricerca della memoria e delle proiezioni di quel 'profondo" che Jung ha indagato e che lui mentiva di non conoscere se non fra le righe dei documenti. Anche l'altra sera il duca aveva letto e aveva scritto e aveva consumato il frugale pasto del nulla, atteso da un fisico che ormai rifiutava gli eccessi e si abbandonava solo al dolce dondolio della voce agognata.

Eccola arrivare per telefono e i versi del poeta riconducevano ai fili della Telecom intrecciati con quelli del cuore. Così Giuseppe Avarna ha lasciato la sua parola d'amore (ancora una volta) disegnata sulla parete di un castello che aveva, anni fa, conosciuto il fuoco della distruzione. Chissà come era adornata la sua stanza: ora le fiamme hanno cancellato vita e testimonianze e gli amici non parlano per pudore e discrezione. Solo lei, la venere giunta dal boscoso Oregon che ha saputo amare e che ha stregato con la freschezza del • la sua giovinezza e con la maturità del suo "io", potrà un giorno raccontare d'inconcluse notti e di campane ormai silenti. E se il Viagra non è mai comparso sul comodino del duca, il ricordo di quella apparizione in tv con l'"impertinente" Enzo Biagi a scavare nell'intimo dell'aristocratico (punteruolo trapanato nei sentimenti e nelle idee), ripropone l'acme e il diapason. Vette che Giuseppe Avarna ha conosciuto e che ha, forse, abbandonato per virtù più profonde. Non è questo che chiede l'uomo nobile? Lo spirito raggiunto attraverso il consumo eletto della libido? Ma il folletto che animava il ricercatore assiduo; l'indagatore perenne; il navigatore solitario portava il duca ad accarezzare sogni proibiti. Così l'ambizione si stemperava nei meandri dell'utopia (madre e carnefice dei poeti) e il sogno di sedere al Quirinale lo ha di recente spinto a raccogliere firme per un disegno improbabile come la trasmutazione del metallo. La scienza non è esoterica ora che è scritta sui libri e "l'aurum vulgi" non appassiona l'alchimista che procede nella sua ripetuta ricerca.

Quel poeta nascosto nei ruderi del castello che vuole arrivare alla presidenza della repubblica; che scrive versi sulle pareti; che indaga nei documenti di famiglia; che attende il trillo del telefono per addormentarsi con la voce della donna voluta e scoperta non è forse l'uomo del nascosto, arrivato alla luce? Il fuoco lo ha divorato per tutta la vita, lentamente gli ha sottratto i beni materiali; lo ha condannato alla lotta familiare con il figlio Guiscardo e la moglie Magda; ha distrutto il suo corpo lambito dalle fiamme, ma gli ha anche dato il sapore del traguardo: quell'amore senza il quale l'uomo scava fossati intorno al "sé" e non labirinti dai quali uscire con un filo disteso dalle mani della propria metà. Giuseppe Avarna ha conosciuto la sua Arianna. L'ha trovata in un aeroporto pensando forse a un'avventura. Quando lei si è dischiusa ha raggiunto l'altra metà del cielo. Gli avvocati che si sono inseguiti sui documenti per lotte di successione e rapine (compiute o no) non hanno potuto portare nelle aule dei tribunali lembi del fuoco che incendiava le campane ad ogni amplesso. E non era annunciata solo l'unione di due corpi ma la fusione delle loro anime.

Crisostomo Lo Presti

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