Ufficialmente nei panni di consulente esterno ma cruciale nel Messina che ha ripreso quota dopo una prima parte di stagione con più ombre che luci. Lello Manfredi ha risposto presente quando gli è stato chiesto, per l’ennesima volta nel corso degli anni, di dare una mano ai colori giallorossi in un momento di difficoltà. Ha operato sottotraccia, dirigendo quell’opera di “equilibratura” del club che ha ridato organicità ai rapporti interni e serenità alla squadra. Contribuendo in maniera determinante alla solidificazione di un gruppo ora unitissimo e che ieri ha festeggiato il traguardo salvezza con una grigliata collettiva al “Franco Scoglio”, dopo l’allenamento. Impresa fatta, quali sono gli elementi principali che hanno permesso la risalita dopo l’avvio stentato? «Ne individuo tre: il primo, il più importante, la fiducia da parte della società, perché ogni qual volta il presidente Pietro Sciotto mi ha chiesto una mano d’aiuto non mi sono mai tirato indietro. Il secondo, l’intensa con Marcello Pitino con il quale avevamo già lavorato nel 2017, salvando anche in quel caso la squadra da una retrocessione annunciata. Il terzo, l’aver coinvolto nella missione tutto l’ambiente: squadra, area tecnica, tifosi, fornitori e collaboratori, nessuno escluso. Anche se c’è sempre qualche stupido che ancora oggi, come in passato, tenta di rovinare quello che di buono è stato fatto. Al di là degli aspetti tecnico-sportivi e degli acquisti del mercato invernale, si è avuta l'impressione la squadra abbia trovato serenità e unità. Qual è stato il segreto? «È stato fatto un patto di ferro con la squadra, abbiamo parlato ai ragazzi e dato loro fiducia. Al primo incontro mi sembravano degli zombi, pian piano quando hanno capito che non gli sarebbe più mancato nulla, che avrebbero avuto la stessa attenzione e lo stesso affetto che i genitori hanno per i figli, allora tutto è cambiato e i risultati sono arrivati. Il traguardo raggiunto è principalmente frutto di questo approccio». Messina contro il Taranto ha dimostrato ancora una volta che, se stimolata, sa rispondere presente a livello di partecipazione. Cosa è mancato in questi anni che siete riusciti a “risvegliare” domenica scorsa? « La città, quando la rendi partecipe, risponde sempre presente. Ricordo un Messina-Catania nel 2016 con ventimila spettatori in C, ma anche un Messina-Giulianova di Coppa in D con tantissimo pubblico. Ma vale a Messina come in qualsiasi altra parte d’Italia. È finita l’epoca in cui lo spettatore era esclusivamente un soggetto passivo, al quale chiedere solo di pagare un biglietto. Oggi bisogna interagire con il pubblico e renderlo protagonista. La mia idea di calcio è molto vicina a quello di qualsiasi altro show: mi piace vedere le famiglie allo stadio ed i ragazzi ai quali offrire non solo i 90 minuti della partita ma tanto altro». Da quale base può ripartire, strutturalmente, il Messina per programmare con adeguato anticipo la prossima stagione? «Dal punto di vista tecnico ci penserà il direttore sportivo, sul piano umano posso garantire che ho avuto la fortuna di lavorare con un gruppo di ragazzi per bene, con tanta voglia di migliorarsi. Molti di questi calciatori, sono certo, potrebbero essere protagonisti anche nella prossima stagione». Capitolo stadi e impianti. Quale potrebbe essere la strada da seguire per rilanciare il rapporto con la città? «Oggi ci sono le leggi che possono consentire alle società di chiedere al Comune la concessione pluriennale degli impianti. Questo potrebbe essere un buon punto di partenza ma non basta. Se immaginiamo un Messina solo della città non abbiamo possibilità di competere con altre piazze blasonate. Se si vuole andare in B o in A la strada da seguire è quella che la prima squadra e tutto il movimento debba essere espressione dell’intera provincia, senza ormai antiquate divisioni campanilistiche». Cosa prevede il “cronoprogramma” societario nelle prossime settimane? Il presidente ha parlato di dieci giorni per il futuro, avete appuntamenti in programma? «Personalmente non ho un “cronoprogramma” e in agenda non ho appuntamenti con il presidente per parlare di futuro, anche perché ancora abbiamo una partita da giocare che vogliamo vincere. Quando ci siamo insediati avevamo solo un obiettivo da raggiungere e, tutti insieme, lo abbiamo centrato». Fino a qualche mese fa il presidente sembrava convinto di cedere la mano ma la salvezza acquisita potrebbe cambiare le carte in tavolo. Quali sono le possibili strade da percorrere in vista del prossimo anno? «Per il futuro sinceramente non so quali siano le reali intenzioni del presidente. Gli va riconosciuto il merito di amare il calcio e il Messina, ha fatto tantissimi sacrifici anche quest’anno per evitare che si perdesse la categoria. Lo abbiamo visto partecipe e coinvolto al campo praticamente al nostro fianco. Certamente è amareggiato perché è stato lasciato solo ed alle richieste di coinvolgimento la città non ha mai risposto presente. Le strade da intraprendere sono solo due: o il presidente vende o va avanti. In ambedue i casi non bisogna parlare solo del prossimo anno ma servirà un progetto a media-lunga scadenza. Bisogna programmare per tempo, lavorare da subito alacremente. Il tempo, fortunatamente, quest’anno c’è». Cosa manca a questa piazza per tornare a rivivere momenti gloriosi come avvenuto in passato? «È necessaria una rivoluzione culturale sul modo di gestire il sistema calcio. Ci vuole una rifondazione ed un coinvolgimento totale di tutta la città, lontano da personalismi che purtroppo continuo a vedere. Tutto questo richiede tempo e sacrifici. Se si riuscirà a portare vanti questo tipo di lavoro, rivivremo momenti gloriosi altrimenti resteremo nella mediocrità più assoluta». Cosa hanno lasciato personalmente a Lello Manfredi questi ulteriori tre mesi al fianco del Messina? «L’affetto di tanta gente, di tanti tifosi che mi hanno incoraggiato e la gioia di aver dato una mano a Messina ed al Messina».