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Verso Messina-Foggia, Zeman... 33 anni dopo. Le liti con Massimino e i rimbrotti a Schillaci

Chissà che effetto gli farà tornare in una città che ha sempre occupato un posticino importante nel suo cuore. L'aria del mare e dello Stretto, gli amici di vecchia data, i bagni a Rodia, le passeggiate sul lungomare e la passione per il buon pesce: Zdenek Zeman si è sempre sentito a casa a Messina già nell'estate del 1988 quando fu accolto con curiosità - ma non troppo entusiasmo - da una piazza che aveva appena salutato il “mito” Franco Scoglio, andato a vincere il campionato al Genoa. “Sdengo” amava il sole e il mare, e Messina gli offrì subito tutto questo. Si sentì subito a proprio agio e ricambiò a modo suo: con i suoi silenzi, il lavoro e quel gioco arrembante e spettacolare che rappresentò la definitiva consacrazione di Totò Schillaci.

Quella di sabato non sarà una gara qualsiasi per il tecnico boemo. Freddo e distaccato all'apparenza, Zeman in cuor suo vivrà le emozioni di chi in riva allo Stretto è stato bene e avrebbe potuto scrivere un capitolo più importante della propria carriera. Una sola stagione tra il Tirreno e lo Jonio ma tutta vissuta... a tavoletta tra il rapporto d'amore e odio con Turi Massimino, i continui litigi con Schillaci - piuttosto restio già dal ritiro a sopportare i carichi d'allenamento del boemo - e i tumulti di una piazza in conflitto con la società e ancora spaesata dall'addio del Professore. Alla fine l'ottavo posto fu una sorta di miracolo per una squadra che coprì le proprie lacune d'organico con i gol di Tòtò (23 alla fine che gli valsero il passaggio alla Juventus) e quelli di Pierleoni (10).

Sorriderà, Zeman, all'ingresso in campo. Il “Franco Scoglio” non è il suo stadio, ma nell'impianto intitolato al suo predecessore in giallorosso ha già meravigliato ai tempi del Lecce in Serie A con una goleada che quel Messina, quello da urlo di Bortolo Mutti, non era abituato a ricevere. Gli applausi non mancarono alla fine di quella partita datata 24 ottobre 2004 caratterizzata non solo dagli affondi dei salentini ma anche dal terribile infortunio occorso a Mimmo Giampà contro i cartelloni pubblicitari. E sarà così anche dopodomani: prima del via una premiazione che il club di Sciotto - il patron stravede per lui e due anni fa affidò la squadra al figlio Karel - non farà mancare con tanto di targa-ricordo per un personaggio unico del calcio che va verso i 75 anni.

Il ritorno di Zeman a Messina è un riavvolgere il nastro di 34 anni. Si può lasciare il segno con un ottavo posto? La risposta è sì se a “guidare” è lui, l'uomo che nei boschi di Valdaora - laddove a distanza di anni portò a lavorare anche il suo Foggia - fece subito capire qual era il suo credo: sudore, corsa, lavoro e disciplina. Schillaci soffriva i suoi metodi e nonostante i gol a grappoli si ritrovò (contro il Taranto) anche in panchina - tra lo stupore dell'ambiente - perché in settimana si era allenato male. Con lui è così: il nome non conta, o si riga o si va fuori. Il suo Messina andò a strappi. Volava e divertiva al “Celeste” (una sola sconfitta, 2-3 con l'Ancona, ndr), mentre era irriconoscibile in trasferta dove eccetto 7 pareggi (compreso quello di Genova a casa Scoglio) fece sempre scena muta. Zeman salvò la panchina a San Benedetto (con il 19enne Saitta tra i pali), spense la contestazione della curva con il 2-1 al Monza e aprì le ali col 3-0 alla capolista Bari che mandò in visibilio il popolo biancoscudato.

Poi altri alti e bassi di una squadra che concluse - c'erano dubbi? - con il miglior attacco e la penultima difesa.

A Massimino, tuttavia, la stagione fece gioco: il valore di Schillaci con il titolo di capocannoniere crebbe ancor di più e nelle casse sociali arrivarono 6 miliardi di lire. Partì Totò e se ne andò anche il boemo nonostante le insistenze di Massimino a restare un'altra stagione. Certi scontri sulla gestione della squadra e sul mercato il buon Zeman non li aveva digeriti e quel suo “no” al rinnovo diede inizio alla favola Foggia, con una squadra operaia che correva a mille all'ora segnando un'era negli anni Novanta. Era la provincia che vinceva divertendo e riuscendo persino far piangere le grandi potenze della Serie A.

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