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Quando Paolo Rossi incantò il “Celeste”: «Via in ambulanza per il troppo affetto»

Quella volta che Messina si inchinò alla grandezza di Paolo Rossi. Faceva freddo quell’1 febbraio 1979 al “Celeste”, ma in quindicimila si scaldarono per le giocate di quell’attaccante dal fisico esile ma dall’innato fiuto del gol, reduce dal titolo di capocannoniere in A e dalle prodezze ad Argentina ’78, che tre anni dopo ci avrebbe regalato una gioia mondiale. Quel giorno si giocò un’amichevole di lusso: da un lato il Messina di Lino De Petrillo, che avrebbe concluso al quinto posto quel campionato di C2, dall’altro il Lanerossi Vicenza di Gibbì Fabbri (ex molto applaudito: negli anni Cinqunta avrebbe indossato 157 volte la maglia giallorossa) che avrebbe – anche clamorosamente – salutato la A con la retrocessione dopo lo storico secondo posto dell’anno prima. Rossi era la stella di quella squadra. Sorrisi, foto e autografi: Paolo ricevette anche una targa prima del fischio d’inizio.
Un’ovazione per chi non si era sottratto alle attenzioni della stampa neanche il giorno prima, quando trascorse la vigilia dell’amichevole tra l’hotel Royal, dove alloggiava il Lanerossi, e... via Bonino, dove lo stesso attaccante e Gibì Fabbri erano stati invitati per una visita alla Gazzetta. E Paolo vi partecipò con l’interesse di chi non vive di solo calcio, intrattenendosi con i giornalisti e informandosi sui processi di produzione di un giornale. Poi le interviste e anche la partecipazione, con il compagno Franco Cerilli, a una trasmissione radiofonica condotta dal compianto Reno De Benedetto e da Pasquale Arcidiacono.
La partita, il giorno dopo, finì 5-1 con Paolo che ne fece due in diciotto minuti prima di lasciare il campo, ma non nell’intervallo bensì a metà ripresa. E fu di nuovo ovazione. Le scene si ripeterono negli spogliatoi: tutti a cercare, vigili urbani compresi, la sua maglia di lana “old style” e fuori il “Celeste” in centinaia ad attenderlo per una foto. Così Elio La Torre sulla “Gazzetta”: «Paolo lasciò lo stadio su un’ambulanza per sfuggire all’affetto dei tifosi». Era già grande e non sapeva che sarebbe diventato il Pablito mundial.

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