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Il presidente dei giornalisti Carlo Bartoli: "L'informazione sarà decisiva, ha un ruolo fondamentale"

Il presidente nazionale dell'Ordine dei giornalisti, in città per l'importante anniversario, ha affrontato i tanti temi della professione che vedono il giornalismo in grande evoluzione

Il presidente nazionale dell’Ordine dei giornalisti Carlo Bartoli è stato a Messina in occasione della visita del presidente Sergio Mattarella per i 70 anni della nostra testata e i 50 anni della Fondazione Bonino-Pulejo. In mattinata ha fatto visita alla Gazzetta del Sud, accompagnato dal presidente regionale dell’Ordine, il collega Roberto Gueli. Con Bartoli abbiamo affrontato i tanti temi della professione che oggi vedono il giornalismo in grande evoluzione, con un futuro tutto da scrivere verso orizzonti nuovi e complessi. E abbiamo discusso anche di regole della professione da riscrivere, di deontologia come cardine fondamentale da seguire, di carta stampata, tv e social media, di copertura degli eventi planetari. Bartoli si è detto assolutamente certo che il ruolo dell'informazione “vera” nel nostro Paese sarà sempre più centrale, anche nel nostro Meridione.

Presidente, verso dove sta andando il nostro mestiere?
«Credo che la nostra professione abbia un grande futuro, abbiamo un grande presente, c’è sempre più necessità di informazione, c’è sempre più consumo di informazione, da quando ci alziamo ormai è diventato il nostro primo atto allungare la mano dal letto per prendere il telefonino e vedere le notizie e il nostro ultimo atto della giornata, quando dopo aver visto cosa è successo nel mondo, finalmente lo appoggiamo e andiamo a dormire. Quindi c’è un grande consumo di informazione e una grande necessità di informazione , la notizia è il bene che deciderà del futuro e della ricchezza delle nazioni. Abbiamo presente quali sono i fattori che hanno determinato la nascita di grandi ricchezze in passato, i grandi armatori, il petrolio, il gas, adesso dobbiamo essere consapevoli che la grande ricchezza sono le notizie e coloro che riescono non solo a produrle ma anche a veicolarle e incrociarle con le relazioni. Notizie e relazioni sono il bene più prezioso che adesso c’è».

Tu hai lavorato a lungo nella carta stampata, hai vissuto “l’inchiostro”, qual è il ruolo che hanno i giornali nel mondo di oggi e soprattutto cosa bisogna fare per mantenerli in vita?
«È sempre di più nell’approfondimento, nella riflessione, ci vuole ancora la carta quando voglio approfondire e godere dell’informazione che ho, la carta continua ad essere un grande fattore. Certo l'ubiquità del portatile, del cellulare, del tablet, fa sì che si possa in qualunque momento, anche in ascensore, informarsi, però è una informazione che è sempre un “pezzetto”. Allora dico che anche chi vive l’evento in prima persona, o lo vive attraverso i social, poi ha bisogno della carta stampata per capire cosa ha vissuto, per avere un contesto, per avere un’informazione completa».

Dal punto di vista del sostegno alla carta stampata, di cosa pensi ci sia realmente bisogno in Italia?
«Di due cose. Punto primo: più risorse, perché siamo il paese dell’UE che in rapporto al Pil dedica meno risorse a quello che io definisco non il sostegno all’editoria ma al pluralismo. Punto secondo: che vengano cambiati i criteri, che non possono essere solamente quelli di sostegno alle crisi aziendali, sacrosanti per carità, ma occorre che ci sia un sostegno a chi innova, investe, assume».

Hai detto che ci danno i fondi per farci andare in pensione, non è che “sotto sotto” vogliono farci chiudere perché diamo fastidio, perché l’informazione dei giornali dà fastidio, forse perché è l’unica ancora libera?
«Diceva Andreotti, “a pensare male…”, purtroppo lo sappiamo... io non voglio neanche pensare questo, credo che ci sia un’enorme sottovalutazione, perché quello che, a mio avviso, non viene colto è che in questa operazione di depauperamento di questo settore creiamo un danno strategico per le future generazioni enorme, che non riguarda solo la democrazia».
Secondo te i media italiani come hanno raccontato il Covid 19 e come stanno raccontando la guerra in Ucraina, forse l’eccesso di informazioni provoca il nulla informativo? C’è una via di mezzo?
«Secondo me no. Sono due valutazioni che io personalmente reputo diverse. La prima sul Covid: l’informazione tradizionale ha dato una grande prova, di misura, compostezza, attenzione, scrupolo, verifica, qualche sbavatura c’è stata ma sono state molto poche, qualcosa in televisione, ma insomma l’overdose informativa si contrasta cambiando canale, o leggendo un’altra rivista, vedo il pericolo opposto, della poca informazione. Sulla guerra: abbiamo espresso delle critiche, anche abbastanza forti, perché non dobbiamo nascondere, non dobbiamo edulcorare, ma non dobbiamo neppure diventare social media della carta stampata, perché ci sono dei passaggi come esibire i morti in primo piano, non è un’operazione da cronisti. Mi dispiace, il giornalismo non è quello, occorre anche un briciolo di umana pietà per quei poveri corpi. Bisogna fare attenzione perché poi certi valori e certe convinzioni si sedimentano e ci vogliono magari decenni per cambiarle. Siamo eredi di una stagione di pace straordinaria, nella storia dell’umanità poche epoche sono state felici come quelle che abbiamo avuto alle spalle e secondo me dobbiamo proiettare nel futuro quest’idea che la pace è un bene possibile».

Torniamo a temi nazionali. La legge “bavaglio”, come categoria non siamo stati forse troppo deboli rispetto a qualcosa che ci ha messo dei paletti troppo stringenti?

«Appena si è insediata la nuova consiliatura dell’Ordine il primo atto è stato scrivere al procuratore capo della Cassazione, che incontreremo nei prossimi giorni, il dott. Salvi, e al vice presidente del Csm, nel frattempo abbiamo incontrato numerosi procuratori, la ministra Cartabia. Abbiamo rappresentato quelle che sono le criticità oggettive perché c’è un problema, un rischio di “bavaglio”, ma c’è un rischio ancora peggiore che è di corruzione dell’informazione del settore. Questo perché, lo dico molto sinteticamente, c’è il rischio che di fronte ad eventi gravi il magistrato che si reca sul posto in cui si sono verificati non possa parlare e questo è assurdo. Perché se c’è un disastro ferroviario, un’esplosione, sulla base della legge non potrebbe parlare. C’è un altro problema, di avere tutti gli atti non più coperti da segreto istruttorio forniti a tutti, perché su questo aspetto, la trasmissione degli atti non più coperti da segreto istruttorio, c’è un mercimonio non solo da parte della magistratura ma, diciamolo chiaramente, anche da parte degli avvocati che ti danno parte degli atti, magari in cambio di qualcosa. E allora la trasparenza in questo campo sarebbe fondamentale. Se si deve veicolare l’informazione attraverso le procure e allora che ci siano uffici stampa con giornalisti professionisti che sanno gestire questi aspetti comunicativi. Quindi chiediamo e abbiamo chiesto con forza che vengano create delle linee guida applicative uniformi per tutta l’Italia. Perché un altro aspetto è la disomogeneità con cui le procure le applicano, abbiamo visto delle circolari di procuratori di province contigue dire cose molto diverse ai loro sostituti, e questo non è accettabile».

Un male del giornalismo di oggi è il “copia e incolla”, tu cosa ne pensi di questa pratica che sta devastando un po’ tutto, e per certi versi anche la nostra professione?

«È un problema enorme, come altri problemi, penso per esempio alla remunerazione corretta e dignitosa del lavoro dei collaboratori. Senza questo tutto andrà a corrompersi, poi c’è il tema del copyright, del pagamento da parte dei grandi player, non solo i social ma anche i motori di ricerca, dei contenuti giornalistici».

I tempi di risoluzione di questi problemi fondamentali secondo te quali sono?
«Secondo me i punti critici sono due: uno è il Parlamento e la visione che ne hanno certe forze politiche. Prendere degli abbagli è possibile ma poi bisogna correggere le impostazioni se si rivelano sbagliate, come si sono rivelate sbagliate e minoritarie in tutta Europa; l’altro aspetto riguarda però anche gli editori, perché queste battaglie si fanno tutti insieme, guai ad andare separati. In Francia c’è stata una grande strategia unitaria di tutti gli editori che hanno messo alle corde Google e i grandi player, se invece passa l’idea della negoziazione editore per editore si raccolgono le briciole, e poi quella che è l’informazione locale, che è una ricchezza enorme per il nostro Paese, è quella che viene più penalizzata».

Una domanda sul ruolo dell’Ordine. Hai parlato spesso sulla riscrittura delle regole e sullo stare nella società civile dell’Ordine, le tue idee su questi temi quali sono?
«Bisogna riscrivere le regole che presiedono la nostra professione, da una parte allargare la sfera del giornalismo perché molti colleghi che fanno questa professione non possono essere giornalisti sulla base delle norme che sono previste dalla legge e che non ne hanno i requisiti sulla base di una legge che risale al 1963, che non è più gestibile. Bisogna ridisegnare i canali di accesso perché non è possibile assolutamente che oggi si possa diventare giornalisti professionisti con la terza media. Bisogna rivedere gli strumenti anche che riguardano la disciplina, perché cinque gradi di giudizio non sono accettabili, credo che all’Ordine dovrebbe essere affidato il compito di istituire dei giurì d’onore o comunque altri strumenti che permettano di intervenire nell’immediatezza, perché sanzionare il collega dopo cinque anni non ha senso. Io credo che comunque l’affermazione della nostra professione passi attraverso una consapevolezza di una centralità assoluta della deontologia e dell’etica nello svolgere questa professione. Questo è quello che ci rende unici e essenziali nell’attuale sistema dell’informazione, altrimenti se vogliamo fare concorrenza a Google o a Facebook auguri, noi non ci saremo».

Un’ultima domanda, sei stato a Messina per i nostri 70 anni, e c’è stato anche il presidente Mattarella. Che idea ti sei fatta della nostra città, del nostro mestiere qui in Sicilia?
«È difficile rispondere perché sono di parte, sono toscano ma la Sicilia è la terra che adoro, in cui ho scelto anche di acquistare una piccola casa, a Modica, la Sicilia ha una ricchezza straordinaria, una terra bellissima che ha delle potenzialità che forse neanche lei comprende a pieno, che deve sviluppare. Queste realtà come la vostra sono importantissime perché la crescita e il consolidamento di una coscienza di sé stessi, del proprio valore, della propria cultura, delle proprie radici, è fondamentale per una comunità, per la costruzione e lo sviluppo di una comunità. Qui ho visto un’impresa editoriale che investe, che crede in questo prodotto, che crede nell’informazione, che vuole avere un futuro in questo sistema. Quindi forse non è affatto un caso che il presidente Mattarella, tra i mille impegni che ha e tra le mille contingenze della politica e dell’attualità, abbia deciso comunque di essere qui a Messina. Penso che sia un bel segnale per la Gazzetta del Sud e per il Giornale di Sicilia».

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