Pietro, il ristoratore messinese che ha portato in Nuova Zelanda... il "rituale" della nonna
«Nonna mi diceva che mangiare è un rituale di felicità. Sin da bambino mi ha inculcato l'idea che non dovevo mangiare per crescere semplicemente ma doveva piacermi quello che mettevo nello stomaco. L'immagine più bella? Lei che faceva non l'arancino, ma l'arancione, preparato in una teglia rotonda con gli stessi ingredienti del rustico messinese e chiuso abilmente come un timballo». Da Messina a Wellington in Nuova Zelanda, il passo non è stato breve. E in mezzo ci sono state tantissime avventure in giro per il mondo e tanti momenti da immortalare. Pietro Boscia, classe 1986, che da sempre ha coltivato l'amore per la cucina, non ha dimenticato le sue radici siciliane che porta avanti con orgoglio e oggi dirige due importanti ristoranti. «Sono cresciuto a Cristo Re – racconta – e dopo una breve parentesi al liceo Ainis mi sono iscritto all’Antonello, seguendo il percorso di mio fratello gemello Stefano. La passione per la cucina e il cibo in generale, però, è nata grazie a mia nonna Maria, di origini campane ma messinese di adozione, insegnante dei ragazzi sordomuti di Cristo Re, che ogni domenica preparava tantissimi manicaretti. E io, che sono stato sempre curioso, l'osservavo con gli occhi pieni di meraviglia mentre si divideva tra il giardino e la preparazione del pomodoro fresco e gli arancini. Ma senza dubbio anche mia mamma Annalisa, innamorata della cucina, scomparsa purtroppo da poco, mi ha lasciato un grande bagaglio immateriale che porto amorevolmente sempre con me». Il giovane ha lasciato la Sicilia nel 2012, ma prima ha accumulato esperienze su esperienze che reputa provvidenziali: a 15 anni, spinto dai genitori, insieme al fratello, ha cominciato a fare le classiche stagioni estive alle isole Eolie. E di fatto non ha mai lasciato il settore della “hospitality”: « Senza dubbio il lavoro estivo mi ha fatto crescere e maturare tantissimo. Messina è la città dove ho arbitrato in eccellenza fino a 25-26 anni, dove studiavo all’Università al corso di promotore turistico e lavoravo per locali ma che ad un certo punto mi è calzata stretta. E un infortunio, la scarsezza di risorse, la curiosità di viaggiare e soprattutto la mancanza di mio fratello e di mia sorella Giulia che già erano partiti per Londra, mi hanno portato a fare un biglietto per il Regno Unito dove sono rimasto per ben 5 anni. Altra tappa: Australia. Per un anno lavorando in vigna e ristoranti. E poi vari viaggi a Bali, New Caledonia e le Hawaii». E nel 2018 la Nuova Zelanda, inizialmente a fare il vino, forte della sua esperienza, e poi l'approdo al “Logan Brown Restaurant”, al primo approccio facendo il cameriere. E qui si incastra l'incontro più importante: quello con An, capo chef, colei che sarebbe diventata sua moglie. «Non mi sono stabilito subito nel continente oceanico. Andai in California a fare un po' di vino. Il Covid ha rimescolato le carte, sono tornato in Italia con mia moglie per vedere la mia famiglia che non vedevo da tre anni e mezzo. Fino al ritorno in Nuova Zelanda che ci ha regalato anche la nascita del nostro piccolo Rocco junior, che capisce e parla inglese, italiano e a volte dialetto siciliano». Pietro oggi dopo varie posizioni e promozioni fa il “general manager” del “Logan Brown Restaurant”, e del “Liberty Restaurant”. Il primo, aperto da 25 anni a Wellington e che vanta due cappelli, due stelle michelin per dirle all'italiana, e l'altro di nuova apertura, un po’ più casual. «Ora che lo stiamo lanciando stiamo organizzando una serie di eventi. E in programma, sono emozionato nel raccontarlo, uno per ricordare la mia infanzia, il mio legame con la Sicilia e il rapporto con mia nonna. Il menù sarà interamente siciliano e proporremo quello che io mangiavo a casa di nonna: gli arancini, pasta alla norma, pesce spada alla griglia e cannoli. E tutto sarà accompagnato da vini nostri come “Donna Fugata”. Ci sono tantissimi prenotati e ho ricreato anche il clima siculo mettendo anche le teste di moro, e il nostro carretto. E ovviamente, come faccio sempre, non perderò l'occasione per raccontare storie e leggende legate alla mia terra che amo davvero tantissimo, per scardinare anche gli stereotipi che ci accompagnano come quelli che dicono che la Sicilia è solo mafia». E ai ragazzi forte della sua esperienza lancia un messaggio: «Ai giovani dico di non avere paura. Io sapevo – conclude – che potevo sempre tornare indietro in caso di fallimento e che ci sarebbe stata una porta aperta a casa. Secondo me viaggiare apre la mente e gli orizzonti e non bisogna rimanere incollati davanti ad uno schermo. Perché la vita è fuori».