Uno degli ultimi “ospiti” del Centro per il recupero della fauna selvatica, nel cuore dei Monti Peloritani, viene consegnato nelle mani di Deborah Ricciardi, responsabile della struttura. È una ghiandaia, la prende tra le mani come fosse una figlia, con lo stesso amore che si riserva agli affetti più cari. Accarezza l’uccellino e individua immediatamente la ferita: «Ha una microfrattura a un’ala. Nulla di grave, guarirà in una quindicina di giorni, trascorsi i quali la libereremo». Libertà, già, quella che accompagnava la vita degli animali prima delle cure nell’oasi di pace a ridosso di Forte Ferraro, cancellata temporaneamente dalla mano cattiva dell’uomo o da incidenti di vario tipo, per poi trionfare nuovamente al momento della guarigione. Una condizione, quindi, riacquisita nel momento della reimmissione nell’habitat naturale, come un cerchio che si chiude. Che appaga non solo il rapace, il mammifero o la specie di turno, ma anche l’artefice del “miracolo”. E i prodigi si continuano a compiere sui “Colli” nostrani, dove all'interno di una decina di grandi voliere e strutture di dimensioni più piccole vengono riabilitati migliaia di uccelli tra gabbiani, aironi, corvidi, passeriformi, volpi, gatti selvatici, ricci, tartarughe terrestri e palustri. Il Centro dispone di una moderna sala operatoria, di un apparecchio radiografico e di una sala di stabulazione dove gli animali trascorrono il periodo post-intervento. La maggior parte delle specie ricoverate ha subito ferite da arma da fuoco e, visto che in massima parte sono protette, risultano vittime di episodi di bracconaggio, oppure hanno impattato contro fili, recinzioni, automobili e altri ostacoli. Al momento, l’esemplare di stazza più ampia è un’aquila del Bonelli. «È stata portata qui dal Ragusano – spiega Deborah Ricciardi –. Ha subito una grave intossicazione dovuta all’ingestione di piombo. Quando è arrivata da noi, lo scorso mese di febbraio, abbiamo riscontrato evidenti problemi neurologici, tant’è che non riusciva ad orientarsi, né a stare in equilibrio. Nei prossimi giorni, sarà sottoposta al terzo ciclo della terapia con farmaco chelante, ma i progressi fino a qui registrati sono evidenti. Riesce a volare, in quanto il livello di intossicazione è sceso da quota 100 a 15. Tra un po’ la riporteremo nel luogo in cui viveva». Nelle gabbie più vicine all’ingresso ci sono merli, gabbiani, volpi e centinaia di tartarughe terrestri. Si ammassano in una zona baciata dal sole, per riscaldarsi. Una si capovolge e Ricciardi non ha esitazioni: si precipita nello spazio a loro riservato e la rimette nella giusta posizione. Sembrano in buona salute, segno che stanno maturando i tempi della liberazione. Una, però, ha il carapece fratturato: dovrà quindi attendere più a lungo. Nell’edificio trovano “rifugio” decine di ricci, animali la cui presenza è frequentissima sui Monti Peloritani, e altri uccelli di dimensioni più ridotte. Si tratta di una piccola parte degli oltre mille animali curati e salvati ogni anno grazie all’impegno della Man (Associazione mediterranea per la natura) e dei tanti volontari che si alternano nell’area, prestando gratuitamente la loro opera. A coadiuvare la direttrice del Centro di recupero sono il veterinario Fabio Grosso e numerosi volontari, per lo più giovani laureati nel settore naturalistico e ambientale. Il punto d’eccellenza accoglie e custodisce anche gli animali che non hanno problemi di salute, ma che provengono da sequestri giudiziari per illecita detenzione. Non a caso, consegnare ai soggetti preposti le specie selvatiche ritrovate ferite o in difficoltà è un obbligo di legge, come ricordato in un passaggio della legge nazionale 157 del 1992: «L’avifauna selvatica è patrimonio indisponibile dello Stato ed è tutelata nell’interesse della comunità nazionale e internazionale». A breve, Ricciardi e il suo staff abbracceranno un altro esemplare di rara bellezza, salvato nei giorni scorsi a Milazzo, sul litorale di Vaccarella: un gufo di palude in transito nel Messinese durante una migrazione. Ennesimo spettacolo della natura.