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Messina, l’uomo che ha rinunciato alla “Ferrari” per la scuola

Una vita di scelte “forti” quella dell’ingegnere Silvio Capizzoto

Dal cavallino rampante alla cattedra il passo è stato voluto. Ma sarebbe uno sbaglio credere che l'ingegnere strettese Silvio Capizzoto, classe 1975, lo abbia fatto solo per guadagnare banalmente più tempo libero. E, senza mezzi termini, il nostro concittadino emigrato, che ha detto addio senza rimpianti a un lauto stipendio di circa 5 mila euro e svariati benefit, afferma che la sua è piuttosto una vocazione nata già da studente universitario. Grazie alle vibranti esperienze nel mondo del volontariato con l'associazione “Ridere per vivere” e non solo. «Sono originario di Messina. E ci torno ogni estate. Come tanti che hanno fatto i bagagli. Dopo la maturità conseguita al “Seguenza” – racconta –, sono andato a studiare, al Politecnico di Torino, Ingegneria meccanica con indirizzo veicoli terrestri. E l'ultimo anno ho cominciato il mio viaggio nel mondo del volontariato: davo ripetizioni ai ragazzi di San Salvario, allora uno dei quartieri più disagiati, con l'obiettivo di tenerli in oratorio piuttosto che in strada. La passione per le automobili ovviamente era viva e dopo la laurea, nel 2004, feci un master a Modena in Ingegneria dell'autoveicolo perché volevo lavorare nel settore automobilistico. E questo tassello formativo era un ponte di collegamento con il territorio assai pieno di opportunità».

La formazione

Da giovane studente, Silvio coltivava quindi anche la sua anima. E lontano dai libri ha cominciato a prendersi una nobile qualifica, quella di clown-dottore. E poteva portare sorrisi a chi ne aveva più bisogno, in ospedale: «A cavallo tra il 2004 e il 2005 ho fatto queste esperienze, ad oggi definirei propedeutica quella da volontario, e poi ho cominciato a tuffarmi nel mondo del lavoro. La prima azienda importante dove ho potuto formarmi è stata la Lamborghini, e qui ho imparato la parte gestionale dei progetti e come nasce una vettura. A partire da un foglio di carta. Io in particolare mi occupavo della progettazione della carrozzeria. Dopo questa fase che è durata ben 8 anni ho cominciato a sentire il desiderio di crescere e così sono andato a lavorare in Bosch e qui per 2 anni mi sono occupato di “change management”, esperienza importante perché ho avuto un ruolo più gestionale» Ed è qui che si accende un tono entusiastico quando il professore ricorda l'approdo alla Fiat di Torino, e l'aver messo testa e cuore in un veicolo alla portata di tutti: la Fiat 500, icona del “made in Italy”. «Da Torino ho fatto un muovo trasloco. Il rientro a Modena coincide con l’ultima grande esperienza della mia “prima vita”. In Ferrari. Lì ero l’ingegnere delle sfide perché ho avuto sempre dei progetti con livelli di complessità elevati. L’ultima è stata la Ferrari Portofino nel 2017. Devo dire che la componente umana da noi è stata sempre fondamentale».
Volontariato e progettazioni hanno sempre sfrecciato pari passo nella vita di Silvio e quando ci fu il terremoto che distrusse L'Aquila l'ingegnere messinese stava seguendo il progetto della Gallardo Superleggera della Lamborghini. « Mi assentai per una settimana per partire come volontario tra le macerie grazie alla grande collaborazione di chi lavorava con me. E il progetto della Gallardo non solo è andato avanti lo stesso ma si è arrivati ad avere uno dei migliori lavori che ho portato a termine. A Modena, anche in Ferrari, comunque, ho avuto a che fare con colleghi meravigliosi. E anche quando ho deciso di lasciare tutti hanno condiviso la mia scelta».

La vocazione

Silvio Capizzoto oggi lavora in un Istituto professionale e afferma di aver assecondato quella che probabilmente è una vera e propria vocazione. E dopo una breve parentesi da precario ha vinto il concorso: «Oggi sono vicepreside e a scuola riesco pure a portare il punto di vista delle aziende avendo accumulato molta esperienza. Nel periodo della pandemia abbiamo pure portato avanti il progetto della libreria della nostra nuova biblioteca usando anche una scaffalatura molto particolare e innovativa. L' immagine più bella? Quella di uno studente – si accende la commozione del docente – che una volta mi mandò quasi a quel paese. Io lo lasciai sfogare e mi raccontò la sua storia di sofferenza e povertà. Dopo si diplomò con buoni voti e ogni volta che mi faceva vedere i risultati diceva “Prof, l'ho fatto per lei”. E questo ci fa capire che tutti hanno bisogno di un mentore, di una guida, di qualcuno che ci indirizzi: sia uno studente che ha bisogno di credere di poter esser artefice del proprio destino , ma anche uno stagista che si ritrova a dover affacciarsi alla professione e ha in testa solo nozioni. E io ne ho incrociati parecchi». Ma secondo il professore messinese c'è una cosa che bisogna inculcare ai ragazzi: l'idea che anche da una sconfitta ci si può sollevare. E anche qui si apre il vissuto: «L'altro giorno mio figlio è venuto a dirmi che aveva preso un butto voto. Io gli ho detto: “Ah, finalmente mi hai portato un brutto voto”. Cosa che ovviamente non si aspettava. Ma io credo che il voto negativo ci permette di capire cosa abbiamo sbagliato e cosa possiamo migliorare. Ed così è anche la vita... Ora però mi raccomando; non dite che me ne sono andato dalla Ferrari perché mi trovavo male. La mia è stata una scelta di cuore».

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