C' è un filo sottile, invisibile, e nostalgico che lega un siciliano alla sua terra. E arriva il momento in cui il richiamo diventa talmente forte che non puoi a fare meno di mettere scarpe comode, riavvolgere il nastro dei ricordi, e far parlare la storia che fa grande la nostra terra. Il regista Peppe Angileri, classe 1987, che vive a Roma da anni ma affonda le sue radici nella zona sud di Messina, Tremestieri, in questo caldo ferragostano ha premuto il tasto “start” al suo primo documentario sulla tradizionale pesca del pesce spada a Messina. Si chiama “La Cardata”, e richiama il tipico graffio che il pescatore fa sul pescespada una volta terminata la lotta con l' animale. L'autore del documentario è Valerio Nicolosi, il direttore della fotografia è Giorgio Pietro Angileri, mentre Riccardo Martellino è l'assistente operatore. Un lavoro che è destinato ad avere successo e porterà la nostra città in giro per il mondo.
Gli esordi
Ma procediamo per gradi: Partendo da chi ha avuto l'idea. «Papà Ignazio era ferroviere – racconta Angileri – e per il suo lavoro si è trasferito nella capitale. Io sono nato a Messina, e anche se ho vissuto tutti gli anni della mia vita fuori, sono sempre tornato in estate nella mia Tremestieri, dove ho vissuto sempre con il mare davanti. E devo dire che mare e pesca, di tutti i tipi, sono stati sempre i miei fedeli alleati ». Peppe ama da sempre il mondo dell'audiovisivo e confessa di essersi dedicato a pieno ritmo alla sua passione quando ha capito che la professione di aiuto cuoco non faceva per lui, e che avrebbe invece voluto assecondare il suo estro creativo. «La gavetta è dura per tutti – continua nel racconto –, io ho iniziato facendo piccole cose per aziende e ora lavoro per la Rai e per Mediaset come montatore. Ho scritto questo documentario che punta a far riaffiorare e soprattutto cristallizzare una tradizione che per me è la più bella che esista».
La sinossi
E basta leggere la sinossi per far accendere nello spettatore trepidante la magia. «La pesca del pesce spada – si legge – risale al II secolo a. C. e ne parla lo storico greco Polibio, affascinato dalla tecnica dei pescatori calabresi e siciliani nell’uso della fiocina dagli scogli, mentre aspettano il passaggio a pelo d’acqua della loro preda. Solamente attorno al 400 d.C. sono apparse le prime imbarcazioni di origine araba chiamate “Feluca”, con i rematori e le due figure che ancora oggi sono fondamentali: l’antenniere in cima ad un albero issato al centro dell’imbarcazione avvista la coppia di pesci spada e lancia il segnale al pescatore, che dalla prua colpisce con la fiocina. A quel punto inizia un rituale antico come questa pesca: gli altri pescatori iniziano a tirare lo spada a bordo, quest’ultimo combatte con tutte le sue forze fino ad arrendersi, sfinito. A volte accade che l’altro pesce della coppia, vedendo il primo in difficoltà si lanci contro i pescatori, cercando di liberarlo ma finendo preda anch’esso. La coppia catturata viene detta “parricchia”. «Una pratica antica – puntualizza il regista – quella della pesca dello spada che nel corso dei secoli è mutata nell’utilizzo delle imbarcazioni ma non nella ritualità. Sempre meno famiglie, ahinoi, si dedicano a questa tradizione e oggi la pesca del pesce spada continua nello Stretto di Messina, dove le feluche a motore, con un’alta torre per l’avvistamento ed una passerella per l’arpionaggio, navigano avanti e indietro tra Messina e Reggio Calabria. Dalla mattina alla sera. Per poi arrivare in spiaggia con una piccola imbarcazione e vendere il pesce direttamente sul bagnasciuga. Tra le famiglie che da generazioni pescano il pesce spada c’è quella dei Mancuso, messinesi che portano avanti questa tradizione e che oggi navigano anche con alcune donne della loro famiglia che si occupano di recuperare il pesce dopo che è stato arpionato. Magia che ci fa capire che questa non è una pratica che riguarda solo uomini».
I desideri
Peppe Angileri coltiva solo due desideri: che i cittadini di Messina si sentano parte della scena e che emergano tutti i sacrifici dei pescatori che meritano che qualcuno porti avanti una tradizione che ci rende fieri. «Sulla scena ci saranno loro – conclude –, i pescatori, che racconteranno il loro vissuto e le loro giornate. E chissà se i giovani sentendo i loro aneddoti non si lascino ispirare dalle loro gesta che non meritano di finire per diventare solo leggende da tramandare».