«Penso che il mestiere del ricercatore sia il più bello al mondo. Le sfide sono quotidiane, ad esempio, quando ti rendi conto che trovare delle risposte è complesso e che i dati non ti permettono di estrapolare una risposta immediata. E ti assale la frustrazione quando ricordi che il tempo a disposizione di un paziente oncologico è poco». Una nuova terapia migliorerà la cura del tumore al colon e il ricercatore che in questi giorni sta facendo parlare di sé popolando il fronte della buona sanità è proprio un messinese innamorato delle sue radici. Giovanni Crisafulli, classe 1979, dell'Ifom di Milano, è primo autore di una ricerca destinata ad ampliare la platea dei pazienti che possono essere trattati con l'immunoterapia. E la sua storia inizia nella città dello Stretto...
Gli albori a Messina
«Ricordo con piacere – racconta – il periodo in cui studiavo al "Seguenza”. Ho conosciuto alcuni compagni con cui conservo un rapporto di fratellanza, nonostante il lavoro abbia spesso inserito fra noi grandi distanze e quando possiamo facciamo una riunione di messinesi che vivono a Milano». Dopo la maturità, il giovane Crisafulli ha scelto la sua Messina laureandosi in Scienze biologiche ed è stato proprio in quel periodo della sua vita che ha capito che si sarebbe occupato di ricerca e, dopo una parentesi come volontario in un laboratorio al Policlinico, si convinse che la sua strada sarebbe stata il lato “oscuro” della Biologia e della Medicina. Ovvero tutte le regole matematiche e genetiche su cui si basa la vita. «Dopo la laurea – continua – mi sono specializzato con un master in Bioinformatica a Siena e poi con un dottorato in Logica matematica, Informatica e Bioinformatica. Questo mi ha permesso di cominciare a lavorare alla formulazione di vaccini alla “Novartis” a Siena. All’epoca mi occupavo di “reverse vaccinology”, ovvero di costruzione di vaccini partendo dal suo Dna. Semplificando, utilizzando un computer si scannerizza in dettaglio il genoma del virus/batterio e si identificano le proteine su cui si potrà costruire un vaccino».
La mission
Dopo qualche anno il talento voglioso di fare qualcosa di entusiasmante, si rese conto che avrebbe voluto lavorare a stretto contatto con i pazienti per aiutarli ad affrontare la loro sfida contro il male del secolo: il cancro. «Reinventarmi nella ricerca oncologica è stata una sfida. Ma adoro le sfide. Perché se non si è competitivi con se stessi è difficile potersi migliorare. E, dopo alcune esperienze in giro per l’Italia sono giunto a Milano a lavorare nell’Istituto Airc di Oncologia molecolare». E dalla Sicilia il suo viaggio fuori è durato ben 6 anni e mezzo. Almeno il primo. Senza ritorno. «Ero a Cefalù quando ho letto della possibilità di lavorare nei laboratori del prof. Alberto Bardelli, in cui avrei avuto l’opportunità di fare ricerca direttamente legata ai bisogni della clinica. Io sono un ricercatore computazionale, un bioinformatico, e utilizzo un computer per analizzare dati genetici. Principalmente mi occupo di tumore al colon, ma ho anche collaborato in studi sui sarcomi, tumore al cervello e della mammella. Analizzo il codice genetico del tumore del paziente alla ricerca di un biomarker che mi indichi a quale farmaco il tumore sarà probabilmente più sensibile. In questo modo, grazie alla collaborazione stretta con gli oncologi, cerchiamo di somministrare la terapia più appropriata ad ogni paziente. Dalle ricerche in cui si mescolano conoscenze diverse provenienti dai ricercatori computazionali, ricercatori da bancone e dagli oncologi arrivano i migliori risultati». E storia recente è “Arethusa” , uno studio di fase II sui tumori del colon-retto, condotto con un approccio diagnostico-terapeutico inedito, dall’università di Torino, dall’Ifom (la Fondazione di oncologia molecolare Ets), dall’ospedale “Niguarda” e dall’Università di Milano.
La ricerca
Il tema è urgente. Con mezzo milione di nuove diagnosi in Europa e una sopravvivenza del 15% a 5 anni, il tumore al colon metastatico è ancora una malattia su cui la ricerca deve investire. Attualmente, le nuove frontiere della cura del cancro passano dall’Immunoterapia, ma purtroppo non tutti i tumori del colon possono esser trattati efficacemente. Solo i tumori ricchi di mutazioni hanno alte probabilità di rispondere a questa terapia perché grazie a queste mutazioni vengono “visti” dal sistema immunitario, ma rappresentano meno del 10% della totalità. «Nell’ultima nostra ricerca – ricorda Giovanni Crisafulli – abbiamo dimostrato che possiamo rendere anche il 90% dei tumori sensibili all’immunoterapia. Abbiamo ottenuto ciò, precedendo quest’ultima da un trattamento terapeutico che ha lo scopo di incrementare il numero di mutazioni utilizzando il farmaco Temozolomide. Inoltre, visto che ogni farmaco ha delle controindicazioni, abbiamo identificato dei biomarker, le cosiddette firme mutazionali che ci permettono di capire se la terapia abbia effettivamente aumentato il numero di mutazioni e se il tumore del paziente avrà maggiori probabilità di rispondere all’immunoterapia. Siamo ancora all’inizio e il trial clinico è in corso, ma le premesse sono buone. Nello studio raccontiamo della stabilizzazione di un tumore di una signora che aveva una aspettativa di vita di qualche mese ma che è ancora con noi dopo più di 2 anni».
Il messaggio
Ai giovani dona un esempio di tenacia, e afferma che studiando è possibile riuscire anche se spesso la narrazione è infarcita di storie di clientelismo e raccomandazione. A tutti invece raccomanda di sostenere la ricerca. E di Messina gli manca tutto, la vista della Madonnina accende nostalgia: «Si dice che puoi togliere un siciliano dalla Sicilia, ma non puoi togliere la Sicilia dal cuore di un siciliano. Questa frase la sento particolarmente mia. Adoro rientrare nella mia terra e spero che a fine carriera potrò tornare “a me casa” per trasferire quello che ho imparato in giro per il mondo. C’è una sensazione che solo un siciliano prova quando sulla Salerno-Reggio vede il cartello “Sicilia” e affacciandosi al finestrino vede l’incrocio dei due mari nello Stretto, sormontato dalla maestosità dell’Etna che sonnecchia da lontano. Respiri il profumo di mare, sei a casa. La lacrimuccia era d’obbligo ai primi rientri. Poi durante il viaggio in traghetto, guardando la bellezza dello Stretto, spesso penso alle parole del nostro conterraneo Peppino Impastato, “bisognerebbe educare la gente alla bellezza: perché in uomini e donne non si insinui più l’abitudine e la rassegnazione, ma rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore”. Così spero –conclude – che la mia educazione alla bellezza, alla curiosità e allo stupore restino sempre vivi e mi guidino nel mio lavoro».