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Fabio Blandini, vera eccellenza di Messina: a capo dell'Irccs più importante d'Italia

Dal primo giugno guida il Policlinico Ospedale Maggiore di Milano, l’Irccs più grande e scientificamente produttivo d’Italia. «Il mio “volo” è iniziato grazie alla borsa di studio della Fondazione Bonino Pulejo»

«Il Policlinico “Ca Granda Ospedale Maggiore di Milano” è l’Irccs pubblico più grande e scientificamente più produttivo d’Italia. Una realtà molto diversa da quella che lascio, per le dimensioni e la complessità di un grande Istituto politematico. Vanta punte d'eccellenza in diverse aree, che sarà mio compito valorizzare al massimo, inserendole in un quadro di programmazione e collaborazione interna. Una sfida alla quale non mi sono sottratto e che affronto con umiltà e determinazione, cercando di fare cose utili per tutti».
Parla il nuovo direttore scientifico del Policlinico di Milano: è messinese, si chiama Fabio Blandini, classe 1962, ex studente di Medicina del nostro Ateneo. Dall’1 giugno ricopre il prestigioso incarico al vertice dell’Ospedale Maggiore. Ha spiccato il volo grazie a una borsa di studio della Fondazione Bonino Pulejo, che gli ha permesso di andare a Pavia seguendo il prezioso suggerimento del compianto Raoul Di Perri con cui ha mosso i primi passi nel campo della Neurologia. «Era il 1988. I Frecciarossa ancora non esistevano – irrompe con simpatia il professore Blandini – e ancora oggi ringrazio la Fondazione per l'opportunità che mi diede. Allora ero al primo anno di specializzazione, dovevo fermarmi 6 mesi a Pavia e rimasi lì a lungo. Completata la specializzazione in Neurologia ne conseguii un’altra in Biochimica, questa volta all' Università di Pavia, perché nel frattempo mi ero appassionato alla ricerca nei laboratori dell’Istituto Mondino. Da lì allo studio della Neurofarmacologia della malattia di Parkinson il passo è stato relativamente breve». Il “Mondino” rappresentava un porto dove ritornare, ma il dottor Blandini ha sempre mostrato curiosità verso quello che succedeva fuori. Ed è così che negli anni '90 ha cominciato a esplorare il continente a stelle e strisce incontrando un bravo mentore...

«Per chi – continua facendo un tuffo nella veste di appassionato ricercatore – faceva ricerca gli Stati Uniti erano la Mecca, un mondo affascinante, “l’altra faccia della luna” considerando che internet e globalizzazione erano ancora lontani. La distanza in termini di risorse e tecnologia con l’Europa, e l’Italia in particolare, era notevole. Si è poi ridotta nei decenni successivi per motivi complessi. E allora su impulso del prof. Giuseppe Nappi, direttore scientifico all’epoca del “Mondino” e altra figura fondamentale nel mio percorso, trascorsi 2 anni nei laboratori di Neurologia dell'Università di Rochester. Un’esperienza fondamentale che non solo mi aprì la mente ma mi consentì di entrare in contatto coi migliori ricercatori nel mondo del Parkinson. E di conoscere la terza figura cruciale per la mia crescita, il prof. John Timothy Greenamyre, al quale sono rimasto legato da una profonda amicizia e con cui collaborai ancora negli anni successivi nei laboratori della Emory University di Atlanta, dal 1999 al 2000 e nel 2008 al Pittsburgh Institute for Neurodegenerative Diseases».

Il luminare messinese, dal maestro, ha imparato a seguire l'istinto del ricercatore, a trasmettere in modo chiaro quello che faceva e a cercare sempre il confronto coi colleghi, senza paure o gelosie. E chiusa la parentesi americana, nell’ultimo decennio ha avviato delle collaborazioni produttive con alcuni dei migliori Centri europei per la ricerca sulle malattie neurodegenerative, Londra e Bonn in particolare. Ma l'Italia e il Centro di eccellenza di Pavia sono rimaste sempre il luogo per innestare una nuova visione. Anche se negli anni ha ricoperto diversi ruoli nell'Istituto neurologico più antico d'Italia, da ricercatore a direttore scientifico, tenendo bene a mente, usando una metafora calcistica, che alla fine conta chi ha una visione di gioco completa. «Mi è sempre piaciuto fare ricerca di base più che attività clinica. Ed è il motivo – puntualizza – per cui sono diventato, pur avendone i titoli, professore universitario di Farmacologia e non di Neurologia Ma col passare del tempo ho iniziato ad apprezzare anche il ruolo organizzativo che il “Mondino” mi aveva assegnato, prima come responsabile della ricerca neurobiologica, poi come vice-direttore scientifico. Mi sono reso conto che mi piaceva sempre di più mettere la mia esperienza al servizio degli altri, soprattutto dei colleghi più giovani. In pratica un po’ come nel calcio, dove l’attaccante, che possiamo paragonare al ricercatore di punta, vuol sempre fare gol con quel pizzico di sano egoismo che lo fa eccellere. Ma è il centrocampista che fa girare la squadra servendo il pallone all’attaccante. Poi alcuni giocatori diventano allenatori e chi faceva il centrocampista di solito diventa anche un bravo tecnico. Questo è quello che fa un buon direttore scientifico: l’allenatore. E il fatto di aver giocato, magari a centrocampo, aiuta».

Nel 2019, sotto la sua guida, il Centro dove ha trascorso ben 34 anni della sua vita ha brillato per pubblicazioni scientifiche puntando sui giovani, linfa vitale del paese. «I risultati ottenuti – rimarca – sono il frutto di un lavoro di squadra, compiuto soprattutto insieme all'Università di Pavia. Si è deciso di investire sui ricercatori migliori, puntando sui giovani talenti, trattenendoli anche a costo di fare sacrifici come istituto. Per me non ci sono altre ricette. Bisogna investire sulla qualità e sul merito. E il ritorno, anche economico, è garantito. Andare all’estero è fondamentale per la crescita, ma bisogna creare le condizioni perché al suo ritorno possa inserirsi in un contesto gratificante e di qualità». Di Messina, invece, gli mancano odori, sapori e leggerezza: «Il legame è forte. Ho la fortuna di avere ancora entrambi i genitori, Bice e Pippo, grandicelli ma in gamba. A parte loro, mi mancano i vecchi amici coi quali cerco di restare in contatto, il senso dell’umorismo corrosivo del messinese – conclude – che può trasformarsi all’improvviso in un pensiero profondo, per poi tornare immediatamente allo sfottò. Il mare, il colore del cielo, il cibo. E davanti a un piatto di piscistoccu a’ ghiotta quasi mi commuovo».

Il treno delle occasioni: Blandini vorrebbe fare qualcosa per il suo Sud. Anche se, scherzando, dice che «L’età non è più verde... Ora c’è un’occasione unica per il Sud, con il Pnrr. Nel campo della ricerca sanitaria una quota importante dei finanziamenti è destinata al Mezzogiorno, purché partecipi a iniziative congiunte e di qualità con gli istituti di ricerca e le università del resto d’Italia. Un’occasione che nessuno può permettersi di sprecare, al Nord, al Centro e soprattutto al Sud. E io farò sicuramente la mia parte, con la testa a Milano e il cuore a Messina».

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