«Ai giovani dico di trovare il posto giusto dove è possibile esprimersi. Quando approdai a Parigi non conoscevo né la lingua francese né le basi di questo mestiere. Non ero un cuoco, ma uscendo dalla mia bolla di comfort ho trovato la forza per riuscirci». Le idee le ha maturate strada facendo. E in corsa ha capito che voleva diventare chef imparando dai grandi nomi, a costo di fare i bagagli.
Emanuele De Leo, classe 1988, da poco è approdato all'interno del Burj Al Arab, l'hotel più lussuoso di Dubai, ben 7 stelle, dove la cucina è italiana. E il giovane lavora come chef accanto a Andrea Migliaccio, nel “suo” Olivo at Al Mahara, che potremmo definire una finestra del bistellato Olivo di Capri. Ma la sua storia nasce in riva allo Stretto, tra cucina genuina e antichi sapori. E sullo sfondo c'è la figura imperitura del nonno che si alzava di buon mattino per andare al mercato. «La passione per la cucina mi ha sempre accompagnato – racconta –, i miei nonni stavano con amore dietro i fornelli e cucinavano per sette nipoti assecondando richieste e palato di tutti. Con le scelte scolastiche, però, almeno inizialmente, ho accontentato i miei, che volevano che facessi altro. E dopo la maturità mi iscrissi all'Università e mi laureai in Scienze del turismo».
La passione batteva forte e da neolaureato fece un biglietto per Parigi. E nel frattempo, armato di sete di conoscenza, divorava letteralmente libri e trucchi del mestiere messi su carta da grandi chef: «Il mio sogno – continua – era quello di lavorare con Joël Robuchon, uno degli chef più stellati al mondo, scomparso nel 2018. E ricordo che quando mi presentai non avevo alcuna esperienza. In cucina, però, in quel momento lui aspettava un ragazzo italiano che era stato “raccomandato” da qualcuno. Io non capivo nulla di francese e ad ogni sua domanda mi limitavo a rispondere con un “oui”, ovvero sì, che si ripeteva in loop. E così, con un semplice scambio di persona, quasi filmico oserei dire e abbastanza simpatico, cominciai l'indomani la mia esperienza. Dopo due giorni si palesò davvero il ragazzo che aspettava Robuchon ma alla fine riuscì comunque a rimanere per ben un anno». E il bagaglio nel frattempo si arricchiva perché il cuoco francese, definito lo chef del secolo, gli insegnò come si tratta la materia prima, fondamentale per ogni piatto. Mentre nel frattempo stava per materializzarsi l'altra grande esperienza formativa...
«Approdai all’interno della Tour Eiffel – continua –, dove al secondo piano trova spazio "Le Jules Verne". Uno dei ristoranti del cuoco pluristellato Alain Ducasse: genio indiscusso dell’enogastronomia francese e mondiale. Le giornate erano frenetiche e mi reputo soddisfatto per aver potuto toccare con mano il tocco in cucina di Ducasse ». Emanuele, poi, ha proseguito il suo percorso, trovando sempre compagni di viaggio che avessero qualcosa su cui puntare e obiettivi da raggiungere, come Enrico Di Bernardo, uno dei migliori sommelier al mondo, premiato per questo, con cui ha preso una stella Michelin e ha lavorato ad un concept nuovo: abbinare ai vini i piatti. Rovesciando ciò che normalmente si fa.
Lasciò la Francia per Ginevra. Era il 2016, infatti, quando entrò nel gruppo “Four season” e qui ha cominciato a lavorare in un ristorante giapponese per 3 anni specializzandosi nella cucina "nikkei" che fa incontrare la tradizione gastronomica peruviana con quella giapponese, dando vita a piatti decisamente affascinanti. «Lì si aprì un'altra porta perché un mio cliente miliardario mi ha proposto di lavorare nella sua isola privata, Calivigny Island , ai Caraibi. Esperienza davvero singolare, ho cucinato pure per la moglie del fondatore di Microsoft, Melinda Gates, “seguace” della dieta paleo, e per i suoi figli, nell' anno in cui si separò dal marito. E ricordo che piovevano richieste di interviste dalla Bbc. La meta comunque era gettonata e si sono visti anche ministri e personaggi popolari come Justin Bieber». Emanuele è rimasto 3 anni sull'isola da sogno fino alla nuova avventura, attuale, come chef, con Andrea Migliaccio, dove il giovane si è riconnesso letteralmente con il mondo e ha ritrovato vecchi colleghi. Ma per il futuro sogna casa: «Mi piacerebbe tornare a vivere nella mia isola – conclude –, a Taormina ho comprato casa e sento spesso il bisogno di tornare per ossigenarmi, riassaporando bellezza. A nonna, una delle mie grandi maestre, chiedo sempre il pesce stocco alla messinese, la caponata, e gli spaghetti ai ricci di mare. Insomma, cerco i sapori che da sempre custodisco nella memoria». A Dubai, però, sta innestando un po' di Sicilia e in carta metterà l'orata con la caponata e la salsa eoliana. Ai ragazzi che lavorano con lui ripete sempre il suo motto: «Sognare ci rende liberi, sperare ci rende deboli e fragili, l'azione invece è l'unica cosa che ci rende forti».
Messina, Emanuele chef stellato nell’hotel più “in” di Dubai
Ha portato i sapori della Sicilia e dello Stretto in giro per il mondo
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