«E poi accade: una persona che ogni giorno scorre migliaia di foto ad un certo punto si è fermata e ha scelto la mia e altre 19. E questo mi rende davvero gioiosa. Una gioia che merita di essere condivisa». Con i suoi click è rinata a Londra dove è approdata tanti anni fa lasciando la sua Messina. E ora Sara Cucè, che cattura abilmente la vita in quelle immagini che parlano come opere d'arte continua a far parlare di sé. Infatti, è lei una delle vincitrici del concorso Life Framer "home sweet home", una vetrina importante per promuovere la migliore fotografia contemporanea internazionale, giudicato da un grande nome, Phaedra Brown, photo editor del “The New York Times”: «Questo riconoscimento – racconta Sara – come altri ricevuti durante gli ultimi anni, mi rendono orgogliosa perché è gratificante vedere il proprio lavoro artistico riconosciuto a livello internazionale. A volte, del resto, produci lavori che pensi abbiano senso solo nella tua testa, in un dialogo con te stesso, ma poi ti rendi conto che non è così e che possono essere condivisi da altre persone o suscitare qualcosa: dalle emozioni o riflessioni più disparate. Quindi nel loro piccolo forse possono avere un impatto, un senso, un significato anche nella vita degli altri. Ed è certamente qualcosa che ti fa sentire meno solo, meno isolato e ti fa prendere coscienza di molte cose». La foto selezionata si chiama “Home” e fa parte dal diario visuale della fotografa messinese ‘Memory of the eyes’, un progetto iniziato nel 2016 e che continua tutt’oggi: e la motivazione colpisce occhi e cuore perché quella casa fatiscente ai margini di un vasto oceano evoca “idee sul passare del tempo, nostalgia e Sara parla – si legge nella motivazione – dell'impatto che la migrazione ha sull'identità e questo edificio che costeggia il mare è una metafora appropriata per descrivere la sensazione di essere al limite occupando una terra di mezzo”. Per la giovane questo è un momento felice e di grande fermento. E in Francia sta rappresentando l'universo femminile che esprime arte e bellezza: « A Parigi – rivela con entusiasmo – ho preso parte ad un evento molto interessante organizzato da ImageNation, in una galleria a pochi passi dal Centre Pompidou, la Galerie Joseph Le Palais, che in precedenza era la sede del le musèe Pierre Cardin. Ci sono più di 500 artisti internazionali suddivisi in 9 categorie. La sezione di cui faccio parte si chiama “JustWomen” ed è stata curata da Slavica Veselinovic che ha scelto 32 artiste donne da tutto il mondo che hanno superato i limiti della loro zona di comfort per esplorare nuove prospettive , modellando visioni tramite il loro sguardo femminile. Ed è incredibile non solo incontrare altri artisti, finora conosciuti tramite social, ma vedere un mio lavoro accanto ai loro». Ma in fondo la Sicilia sarà protagonista perché la talentuosa messinese presenterà un lavoro tratto sempre dal suo diario visuale "Memoy of the eyes", dove sviluppa il concetto di ‘senso di appartenenza’ e si focalizza su tematiche come la casa, il tempo, l’identità, i confini: « Sono tutte tematiche – puntualizza –che scaturiscono dalla mia migrazione di dieci anni fa nel Regno Unito e cosa abbia comportato per me, a livello intimo e personale, il dovermi mettere a confronto con una nuova realtà. È una riflessione aperta sul concetto di senso di appartenenza e su cosa significhi. Migrare è un atto che mette in crisi la nostra identità poiché si arriva ad un punto in cui non ti senti più né in un posto né nell’altro. E questo cosa dice di te? E quindi tu a cosa appartieni? E mi riferisco anche a cose pratiche come parlare due lingue e arrivare al punto in cui non sei più davvero fluente né in una né nell’altra. Un esempio banale ma che potrebbe riassumere molte altre cose e nasconde in realtà un concetto di nazione-paese inteso come territorio che è problematico affrontare e che per me, è un discorso ancora aperto a riflessioni future, anche per questo credo che la serie non sia finita». E gli scatti in bianco e nero su pellicola frutto di un viaggio introspettivo descrivono non solo il viaggio di Sara in cui «abbandona – come precisa – quasi nostalgicamente una sponda per un’altra, in modo a volte astratto e surreale, tramite diversi simbolismi e doppie esposizioni su pellicola, e ritrae quello spazio di mezzo in cui non si ritrova più ne qui né li, ma ritrae e cristallizza l’esistenza e la condizione di vita di un’intera generazione di viandanti». L’artista con gli occhi da viaggiatrice intanto non si ferma e i sogni nel cassetto sono tanti. Tra questi fissare il suo lavoro in un libro mentre la città dello Stretto resta il luogo del cuore e non solo: «Messina e le sue caratteristiche – conclude – sono spesso presenti nei miei lavori, tramite l’attaccamento viscerale agli elementi naturali: in particolare l’acqua, la salsedine e la brezza estiva. Altri elementi come la qualità della luce, che vado di solito a ricercare, molto forte e che crea forti contrasti. E altro come, ad esempio ritrarre la vita del mercato, i gesti dei passanti e alcune caratteristiche architettoniche della città che spesso ricerco in altri luoghi, mi ricordano casa quindi tendo a fotografarli in altri luoghi. E mi rendo conto che diventa quasi una trasfigurazione della mia città tramite altri posti, altre immagini, quasi come la ritrovo nei miei ricordi ».