Ha incrociato volti e personaggi di Messina, storie e vicissitudini, indossando per il suo viaggio scarpe comode e occhi vivi che indagano il presente. Per far capire che l'integrazione passa anche dai terreni di gioco, tra un fischio d'inizio e partite da vivere sotto un cielo nuovo in cui si rinnovano speranze e voglia di riscatto. Alessio Norrito, siciliano di Palermo, giovanissimo talentuoso ricercatore della Loughborough university, classe 1995, ha realizzato un progetto di dottorato in cui ha dato voce a tanti migranti sbarcati in Italia con il sogno di giocare a pallone. Coltivato, accarezzato e afferrato appena solcate acque tranquille. «Dopo il liceo – racconta – mi sono trasferito a Londra, dove ho studiato Cinese e International business. Completato il mio percorso ho poi seguito la mia passione con un master in Sport e relazioni internazionali a Edimburgo e in seguito ho arricchito il mio background lavorando in Cina e a Torino». Per Alessio la carta estera era necessaria per poter realizzare le sue aspirazioni. E fare esperienze internazionali porta naturalmente a conoscere le “diverse facce del mondo”. I passi li ha ripercorsi a ritroso per il suo progetto. E proprio a Messina ha incontrato tantissimi ragazzi che grazie allo sport si sono integrati: « Il lavoro – continua – è maturato mentre lavoravo sia in Cina che a Torino. Anzi, ho sempre avuto questo pallino fisso , da quando a Shanghai mi sono ritrovato nelle stesse classi di cinese con delle persone, poi diventate amici, che scappavano dalla guerra in Siria e dallo Yemen. L’amicizia è nata proprio attraverso il pallone, ed è per questo che ho voluto esplorare l’argomento. E infine, dopo due anni di preparazione, ero convinto si potesse fare un progetto per le iniziative calcistiche che avvengono in Sicilia». Il sogno di Loughborough, una delle Università migliori al mondo, era dietro l'angolo, perché un professore, Richard Giulianotti, oggi suo supervisor con Carolynne Mason, gli ha dato la possibilità di frequentare questo ambiente stimolante e quindi di sviluppare anche un tema che per il giovane è molto sentito considerando che voleva racchiudere la sua terra di origine in una discussione mondiale sulla relazione tra sport e sviluppo. Una discussione alla quale, secondo il ricercatore, casa nostra non partecipa, nonostante le belle iniziative che fioriscono. «Dalla mia ricerca – precisa – emergono tanti aspetti positivi. Sentire parlare ragazzi che si definiscono con orgoglio “messinesi” è sicuramente la cosa più bella. Ragazzi che si riconoscono nell’identità della città, che ora chiamano casa. La loro capacità di costruire legami fraterni con persone del territorio è di fondamentale importanza, legami genuini che prescindono dal loro status. Secondo me non c’è simbolo migliore di accoglienza. Quello di voler essere messinesi e di vivere Messina nel quotidiano è probabilmente il simbolo di una città che sa accogliere e che spinge i ragazzi a rimanere». Il lavoro è stato accolto con molto entusiasmo, non solo in Inghilterra. Infatti, lo studioso ha avuto la possibilità di poter presentare diversi aspetti del suo studio in altre università in Europa, come Lisbona, Teramo e l’Anglia Ruskin di Cambridge. Non sono mancati plausi da tanti colleghi e il cammino non si ferma perché approderà anche in Germania e in Svizzera. «Credo che quello che accade a Messina e in Sicilia riguardi tutta l’Europa. L’Isola può essere un’importantissima piattaforma di apprendimento e necessita di tutto il supporto scientifico a disposizione». Ma non mancano “nei” che invitano alla riflessione: «Il ritratto – puntualizza – che ne esce è positivo per i siciliani, decisamente meno per la Sicilia. Infatti, i siciliani e i loro sforzi sono la chiave di tutte le iniziative, e per siciliani intendo tutti quelli che abitano in Sicilia, migranti e non. Tuttavia, non nascondo un po’ di vergogna quando si parla di navi quarantena e processi di accoglienza. Lì la nostra terra non ne esce bene. Spesso vengono fatti proclami su grandi progressi e avanzamenti, eppure sarebbe molto più utile identificare quali sono le problematiche e risolverle. E spero proprio che il mio contributo possa aiutare». Alessio Norrito, reduce dalla partecipazione alla manifestazione “Un calcio al razzismo”, promossa da UniMe, lancia anche le sue proposte: «Servirebbero più spazi pubblici liberi dove poter giocare a calcio liberamente. Infatti, quello che di buono può succedere con il calcio è la creazione di legami interculturali. La dimensione calcistica mette sullo stesso piano sportivo diversi componenti della società, creando dei ponti momentanei di collegamento tra persone che non si sarebbero potute conoscere in altro modo. Ed è così che un ragazzo migrante può beneficiare della conoscenza di un altro ragazzo del luogo e viceversa. E qui voglio sottolineare il viceversa. A Messina – conclude – queste esperienze sono capitate, ma non potranno essere replicate in futuro se lo sport non sarà accessibile a tutti». Parole e determinazione di un giovane tenace che sogna di organizzare una conferenza mondiale sull’argomento “sport e sviluppo".