È stato un pomeriggio intenso quello trascorso giovedì scorso dal regista César Brie, maestro del teatro contemporaneo, e dagli attori della sua compagnia nel Teatro “Piccolo Shakespeare” allestito all’interno del carcere di Gazzi, dove hanno incontrato i detenuti-attori della Libera compagnia del Teatro per sognare. Alla fine, la sensazione è stata di aver ricevuto pur dando e di aver imparato insegnando, come se ci fosse stato un prima e un dopo. Si è parlato di teatro, poesia, vita e sofferenza e dello spettacolo “Nel tempo che ci resta” portato in scena nella mattinata al Teatro Vittorio Emanuele davanti a numerosi studenti. “Nel tempo che ci resta” è scritto, diretto e interpretato César Brie, maestro del teatro contemporaneo e prodotto da Campo teatrale e dal Teatro dell’Elfo. È il frutto di una lunga ricerca sulle figure di Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e Tommaso Buscetta. Lo spettacolo è stato organizzato per le scolaresche in occasione del trentennale delle stragi di Capaci e Via D’Amelio dalla Città metropolitana, in collaborazione con l’associazione D’aRteventi, il Teatro Vittorio Emanuele e il Provveditorato agli studi, con il patrocinio del Comune, Università, l’Anm e Ordine degli avvocati. Nel pomeriggio, nel teatro del carcere di Gazzi, l’incontro con gli attori della “Libera compagnia del Teatro per sognare” e con gli studenti di Giurisprudenza e Scienze politiche che partecipano al progetto. «La scena è uno spazio fisico, un luogo poetico – ha spiegato César Brie –. La differenza tra vita e arte è che nell’arte anche le cose più brutte devono essere belle perché vedendo il dolore attraverso l’arte si trova l’essenza delle cose. Il teatro è dire la verità attraverso la bellezza e tutto il brutto deve diventare bello per questo è così difficile farlo». Brie ha parlato dello spettacolo su Falcone e Borsellino, visti nella loro essenza di uomini, raccontando gli aspetti privati come la storia d’amore tra Giovanni Falcone e Francesca Morvillo, che sulla scena diventano semplicemente due innamorati. Struggente la trasposizione scenica della separazione da morti: sono infatti sepolti in due luoghi diversi, interpretata da una delle talentuose attrici della Compagnia. Falcone e Borsellino sono stati immaginati anche in momenti più leggeri, quando scherzavano sui loro necrologi. Gli stessi detenuti attori si sono misurati in scene dello spettacolo, vivendo con partecipazione alcuni momenti e portando sul palco monologhi e stralci dei laboratori teatrali e di uno spettacolo che per la pandemia non sono riusciti a fare. Ha commosso tutti un testo sul tempo all’interno del carcere, sulla lontananza delle persone care, sul Natale trascorso a distanza, scritto da un detenuto e interpretato da un’attrice. La direttrice del carcere Angela Sciavicco ha sottolineato il grande sforzo dell’amministrazione penitenziaria per rendere possibili eventi del genere, che hanno un fine educativo e sono il frutto di un lungo impegno: «Sarebbe più facile chiudere le porte non facendo entrare nessuno, mentre qui dentro si scopre un mondo carico di umanità, storie difficili. L’obiettivo è anche far conoscere aspetti con i quali i detenuti non si sono mai confrontati e realtà diverse dalla loro». Daniela Ursino, direttrice artistica, ha spiegato il progetto del Teatro Piccolo Shakespeare, sottolineando l’impegno di amministrazione penitenziaria, magistratura di sorveglianza, polizia penitenziaria ed educatori. Presente anche padre Nino Basile, direttore della Caritas che sostiene il progetto. All’incontro intervenuti il regista Giampiero Cicciò, l’aiuto regista Antonio Previti e il regista e attore Mario Incudine, che presto realizzerà con la “Libera compagnia del Teatro per sognare” un progetto al Teatro greco di Tindari, mettendo in scena Liolà di Pirandello.