Quando Gino Coppedè (Firenze 1866- Roma 1927) giunse a Messina nel 1913, in piena ricostruzione post-terremoto, progettò e realizzò i palazzi Tremi, Bonanno, Costarelli introducendo in città uno stile particolare, che da lui aveva preso il nome. Fino al 1925, lascerà il segno in città con tutta una serie di epigoni che a lui si ispireranno e porteranno avanti la sua architettura fantasiosa e fantasmagorica dove preponderante è lo stile gotico dei Maestri d’Opera medievali. In una delle sue ultime realizzazioni due anni prima della morte, il palazzo Cerruti dell’isolato 312 in via Garibaldi, recentemente restaurato, fra le tante simbologie una in particolare si caratterizzerà per la sua particolarità: il “Nodo di Salomone”. Sarà una reinterpretazione a modo suo che troverà diverse applicazioni in città e nei suoi Casali. Palazzo Carrozza, in via Garibaldi-viale della Libertà, di autore ignoto, riprende il tema nel cornicione sommitale ad archetti bicromi pensili, complicandone la morfologia, così come lo si trova negli oculi sopra le finestre bifore del Santuario di Montalto (1928-30). Ancora il “Nodo di Salomone”, nella sua forma più antica come si vede nei plutei (balaustre a lastre rettangolari decorate che dividevano, nelle chiese, il presbiterio e la cantoria o svolgevano la stessa funzione dell’iconostasi) altomedievali, è graffito e dipinto di rosso ai lati degli archi di tutte le finestre in una villa eclettica a Galati Marina. La sua più antica raffigurazione si trova in un fondo di piatto della cultura di Karanovo VI, area del basso corso del Danubio (metà del V millennio a.C.). Usato anche dai Celti, furono i romani in età augustea (I sec. d.C.) a introdurre questo simbolo in Italia (Pompei, Ostia e Stabia). Collegato a simboli spiraliformi come il “Triskel”, è assimilabile alla svastica orientale e nei testi ermetici è associato al labirinto, percorso iniziatico che conduce al centro in un duplice cammino verso la Rinascita. Il Medioevo è, comunque, il periodo della massima diffusione in cui il simbolo, da decorazione pagana, appare nelle chiese e nelle raffigurazioni cristiane: monaci cistercensi, Templari che lo usano anche in battaglia per la sua valenza simbolica ed esoterica. Ne troviamo 260 esemplari semplici (a due anelli) e complessi (due anelli più un quadrato), nei mosaici della basilica di Aquileia del IV secolo, portati alla luce dagli archeologi negli anni 1909-12. Leggi l'articolo completo sull'edizione cartacea di Gazzetta del Sud - Messina