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Marco, l'avvocato della pace: accademico messinese premiato dalla Croce Rossa Internazionale FOTO

Marco Longobardo, 33 anni, messinese fiero del diploma al liceo "Maurolico", con il suo attualissimo libro "The Use of Force in Occupied Territory" è stato il primo italiano a ricevere il premio "Reuter"

Da ragazzo voleva fare il giornalista e occuparsi di politica estera... Poi la fama della facoltà di Giurisprudenza, ma soprattutto la volontà di non andare (ancora) via da Messina, lo hanno fatto innamorare del Diritto Internazionale e rimanere in riva allo Stretto, anche se giusto il tempo di laurearsi, immergersi in una summer school in Irlanda e volare a Londra per diventare ricercatore all'Università di Westminster, dopo un dottorato alla "Sapienza" di Roma. 

Marco Longobardo, 33 anni, messinese fiero del diploma al liceo "Maurolico", con il suo attualissimo libro "The Use of Force in Occupied Territory" è stato il primo italiano a ricevere il premio "Reuter" assegnato ogni tre anni dal Comitato Internazionale della Croce Rossa a coloro che hanno contribuito a migliorare lo stato del diritto internazionale umanitario.

"Durante gli anni del liceo - racconta - non sapevo ancora cosa sarei diventato, inizialmente volevo fare il giornalista e occuparmi di esteri, ero convinto che sarei andato a studiare fuori e invece non ho avuto la forza di lasciare Messina, così, senza un piano ben preciso, mi sono iscritto alla facoltà di Giurisprudenza e, grazie all'incontro con la professoressa Marcella Distefano, mi sono appassionato al Diritto Internazionale. Mi sono laureato nel 2012 con una tesi in cui sostenevo il diritto della Palestina ad essere considerata uno Stato e nel 2014 lo è diventata".

Marco, però, non pensava ancora di intraprendere la strada accademica, anzi sino ad allora aveva concentrato i suoi sforzi per prepararsi ad affrontare il concorso da diplomatico. Poi quello che definisce un "fortunato incidente di percorso" lo ha portato in Irlanda per una summer school sul sistema della Corte penale internazionale: "Lì - spiega - ho conosciuto il giurista canadese Will Schabas e ho subito pensato: io voglio essere come lui".

Così è tornato a Messina e ha comunicato alla sua famiglia, composta esclusivamente da medici, la svolta: "Voglio fare un dottorato e diventare un accademico". "L'unica certezza che avevo da piccolo - dice convinto - era che non avrei fatto il medico, che volevo intraprendere una strada diversa, a Messina, però, non era disponibile alcun dottorato nell'ambito che avevo scelto, così ho provato a Roma". E da allora non si è mai pentito.

I ricordi degli anni di studio e il rapporto con Messina

Marco torna spesso in città per riabbracciare la famiglia e gli amici, per fare una passeggiata in centro, per riassaporare granita e arancini. "Quando abitavo a Messina non ero consapevole di quanto fosse bella, per me il nostro mare e la nostra primavera erano ricchezze quasi scontate, adesso mi mancano da morire Messina, la vicinanza alle isole Eolie e le estati a Salina, il mio posto del cuore". Un appuntamento fisso in città, a cui non voleva mai rinunciare, era il confronto con la sua ex professoressa di Italiano del liceo, la compianta Katia Petrone: "Per me - dice commosso - è stata sempre una fonte di stimolo e ispirazione e i nostri dialoghi mi hanno fatto crescere tanto, a lei devo buona parte di quello che sono diventato".

Marco ha poi un ottimo rapporto anche con l'Ateneo peloritano, dove è stato anche docente a contratto. Anche se spiega: "Non ho in programma di tornare a vivere o lavorare in città, almeno per il momento, sono soddisfatto della mia carriera londinese e sento di essere in una fase della vita in cui ho desiderio di fare nuove esperienze lavorative, però mi accompagnano spesso i ricordi di come ho studiato a Messina e, col senno di poi, posso confermare l'assoluta verità di una frase che ci ripeteva spesso il professor Scalisi: "Noi vi insegniamo un metodo".

Il sistema universitario italiano e la puntata di "Presa Diretta"

Da accademico che lavora in Inghilterra, Marco, ha una posizione abbastanza particolare sul sistema universitario italiano: "Di recente ho visto puntata la puntata di Presa diretta dedicata all'accesso alla carriera universitaria ed è vero in Italia ci sono delle storture su cui bisogna assolutamente intervenire, ma ci sono anche tanti atenei che arruolano in base al merito. All'estero, da un lato i processi di selezione dei docenti non sono perfettamente trasparenti e l'elemento della cooptazione è molto radicato, dall'altro le università operano proprio come aziende e nessuna azienda ha interesse ad assumere chi non è bravo. Per altri aspetti, è molto difficile capire quali siano i criteri di selezione, non ci sono verbali di commissione, non ci sono Tar a cui rivolgersi in caso di ricorsi. Non esiste un sistema più virtuoso dell'altro, si tratta di meccanismi di regolamentazione diversi, anche se in Italia, almeno negli ultimi anni ho notato che le nuove generazioni di docenti sono migliori rispetto alle precedenti, ci sono più mobilità e apertura".

L'attuale crisi tra Russia Ucraina

E guardando all'estero e all'attuale situazione politico-economica a livello internazionale Marco non sorride affatto: "Stiamo assistendo a un momento di grande depressione nel multilateralismo, alla crisi, o presunta tale, dell'Unione Europea e a una progressiva perdita di importanza delle organizzazioni internazionali. Ce lo ha insegnato, ad esempio, la pandemia con l'Organizzazione Mondiale della Sanità che, di fatto, è stata notevolmente limitata nell'azione perché gli stati in un momento di crisi hanno preferito asserragliarsi nelle proprie sovranità, nei propri spazi, chiudendo le frontiere, mentre serviva cooperazione. L'attuale scontro tra Russia e Ucraina è la conferma di tutto questo, l'Onu sembra avere un ruolo marginale e non esistono le grandi discussioni, i confronti aperti, vediamo Macron andare Putin, assistiamo allo sviluppo di individualismi senza alcuna cooperazione, sembra che l'idea del multilateralismo e degli accordi di ampio respiro non siano assolutamente contemplate e, invece, oggi più che mai, rappresentano la strada migliore per risolvere le controversie.

Il perché del libro "The Use of Force in Occupied Territory"

Anche per questo un delle problematiche più attuali per Marco è l'impossibilità di gestire il diritto nei conflitti armati, per questo il ricercatore messinese si è specializzato nel diritto dell'occupazione bellica e nel quadro giuridico applicabile in un contesto di occupazione territoriale.

"Non si tratta soltanto di capire quali sono le norme che regolano un'occupazione, ma anche della possibilità di contestare l'utilizzo della forza in un determinato momento. Nel libro - continua - cerco di ricostruire questo puzzle e, sulla base delle norme esistenti, descrivo un quadro giuridico di riferimento per dare strumenti che possano essere utili a sciogliere controversie a livello internazionale".

Per scriverlo Marco si è, ovviamente, ispirato a tutta una serie di occupazioni che si sono verificate nel periodo storico compreso tra la fine della seconda guerra mondiale e l'occupazione della Namibia, passando per i casi di Palestina, Iraq e Crimea.

"Oggi come allora, determinati utilizzi della forza non sono proporzionati, l'ho scritto perché volevo mettere a disposizione un testo utile a determinare in via giudiziale i limiti dell'uso della forza in territori occupati e sono stato fiero di sapere che il Procuratore della Corte Penale Internazionale sta utilizzando il mio libro per affrontare diverse problematiche. Quando ho visto bando della Croce Rossa Internazionale - spiega ancora Marco - ho deciso di partecipare quasi esclusivamente per far leggere alla giuria il mio libro, non pensavo assolutamente di vincere, mi aspettavo un'agguerrita concorrenza e, invece, prima di Natale mi hanno comunicato l'esito, ma le regole del premio imponevano di diffondere la notizia solo il giorno della nascita di Paul Reuter".

I sogni... da grande

Sugli obiettivi imminenti e futuri Marco ha già le idee chiare: c'è un contratto siglato per il suo secondo libro che avrà come tematica principale il concetto di "gravità dei crimini" nello Statuto della Corte Penale Internazionale. Per questo ha già fatto domanda per partecipare a una serie di conferenze all'estero e in Italia e sta pensando a un semestre sabbatico nel 2023 per completare la ricerca finale del testo.

Fra qualche anno, invece punta a un maggiore coinvolgimento nella pratica legale internazionale: negli ultimi anni è già stato consulente di alcune ONG e OG e, adesso, vorrebbe anche allargare le sue collaborazioni direttamente con i governi.

"Non intendo in alcun modo abbandonare gli studenti e la ricerca, ma vorrei fare in modo - conclude - che il mio lavoro avesse un impatto diretto sulla vita delle persone, vorrei collaborare direttamente con i governi per aiutarli a modificare tutte quelle norme che, in qualche modo, minacciano il singolo e la società, contribuendo a dare alle leggi che regolano gli stati una connotazione più umanitaria, in particolare per le vittime di conflitti armati in cerca di giustizia per i loro diritti violati".

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