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Messina, le lacrime miracolose del Bambinello di padre Fabris

Itinerario tra le tracce del passato della Messina scomparsa. I resti del tempio di San Gioacchino e un anniversario speciale

Continuiamo il nostro itinerario cittadino nella Messina d’un tempo, rievocando una devozione ancora viva, che si celebra nel mese di febbraio, legata alla chiesa di S. Gioacchino, che sorgeva prima del terremoto del 1908 dietro l’attuale chiesa di S. Antonio Abate-Annunziata. Consultiamo a proposito un vecchio volume: l’opera notevole della Regia Stamperia di Francesco Gaipa-Messina 1754, “Vita del venerabile servo di Dio P.D. Domenico Fabris sacerdote messinese, descritta da P. Diego Savino Piccolo gesuita, e dedicata al Santo Bambino Gesù e ai preti umili di Betlemme”.
Il corposo volume narra dunque dell’umana vicenda, ispirata e severa, di padre Fabris prete venerabile, nato il 27 aprile 1671, morto il 10 marzo 1737. Di lui ci dicono tanto, quelle vetuste pagine. Per esempio ci narrano di quando «abbracciò lo stato ecclesiastico e si rese sacerdote»; di quando «s’esercitava in predicare la divina Parola ed in promuovere la devozione verso il Santo Bambino»; di quando, soprattutto, già procuratore e cappellano della chiesa di San Gioacchino – che era sita nei pressi della via dei Monasteri, nella zona dell’attuale via Romagnosi, 1 – egli vide lacrimare un Bambinello di cera. Ed erano lacrime vere, sentenziarono poi le autorità ecclesiastiche. A Messina si gridò allora al miracolo, e lo stupore dilagò ovunque in Sicilia, anche ben oltre lo Stretto.
I confrati di San Gioacchino, detti Servi del SS. Sacramento, comprarono un edificio in rovina accanto alla chiesa per adattarlo a sagrestia. Padre Fabris pensò invece di destinarlo ad oratorio e di impiantarvi anzitutto un presepio. Ottenne il consenso dei confrati e l’opera fu in breve compiuta da maestranze e artisti di chiara fama, fra i quali Placido Paladino, Tuccari e i Filocamo, Giovanni Rossello. Il Bambinello da esporre nella grotta, il Fabris l’aveva acquistato nel 1699 dal vecchio prete Antonio Zizzo, per otto scudi. Era di cera e bellissimo.

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