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Messina, ecco chi costruì Santa Maria Alemanna

Il suo nome non si è mai saputo. Ma egli stesso si è raffigurato e lo si può identificare con il simbolo del “Maestro d’Opera”

Nella premessa al suo libro “Il segreto della cattedrale”, Christian Jacq riporta un immaginario dialogo fra un uomo e tre artigiani che stanno lavorando all’edificazione di una cattedrale gotica.
«Passeggiando per le vie della sua città – scrive Jacq – un uomo passò davanti al cantiere in cui si costruiva la cattedrale. Tre operai stavano riponendo gli arnesi; l’uomo, già da tempo incuriosito da quei costruttori di cui non sapeva molto, rimase a osservarli. Poi si avvicinò e osò porre la domanda che gli bruciava sulle labbra: “Quale è la tua occupazione?” “Guadagnarmi da vivere”, rispose il primo. “E tu?” “Tagliare le pietre”, rispose il secondo. “E tu?” “Costruire una cattedrale”, rispose l’artigiano iniziato. L’uomo che li aveva interrogati comprese di avere di fronte tre esseri molto diversi. Il primo si assicurava la sopravvivenza e non prestava attenzione al mondo dei simboli, nel quale tuttavia trascorreva la giornata. Il secondo era un bravo tecnico, che non si poneva domande sul significato dell’Opera, ma vi partecipava con tutte le facoltà della sua coscienza professionale. Il terzo era senza dubbio un futuro Maestro d’Opera, che fondava la vita sul “perché” e non sul “come”. Nell’assonometria sapeva distinguere i tratti del capolavoro; in cantiere, nel cuore della materia, vedeva già la cattedrale ergersi verso il cielo. Il nostro uomo notò il sorriso dell’iniziato. L’aveva immaginato: quell’uomo portava in sé la serenità. L’interrogante provò il desiderio di diventare a sua volta Maestro d’Opera».
È un brano, questo, profondamente rivelatore del clima culturale che si viveva in Europa all’epoca della costruzione delle grandi cattedrali gotiche, ma è, anche, un’importante chiave di lettura per entrare nel profondo del pensiero di questo movimento religioso di massa che appare misteriosamente ed altrettanto misteriosamente scompare.
Quando, verso il 1220, s’inizia a Messina la costruzione della chiesa di Santa Maria degli Alemanni, in Francia l’architettura gotica sta raggiungendo il momento massimo della sua maturità e potenza espressiva con un linguaggio assolutamente nuovo rispetto a quello degli edifici chiesastici di stile romanico. È un linguaggio che parla attraverso i simboli che anche il popolo analfabeta del secolo XIII comprendeva e così, in un capitello dell’Alemanna, proprio quello privilegiato perché davanti all’altare, non c’è il volto di Dio come sarebbe stato logico aspettarsi ma quello dell’asino-demonio che appariva raffigurato anche nel portale maggiore così come lo vediamo in un’incisione del 1644. Nella “Festa dell’Asino” che si svolgeva nelle cattedrali e chiese gotiche due canonici in corteo accompagnavano un asino dal nome di Maestro Aliboron, nel corso della messa. Vicino all’altare l’animale veniva vestito da canonico e una ragazza che rappresentava la Vergine gli montava in groppa, gli si tirava la coda per farlo ragliare, poi si beveva del vino e fra canti e danze lo si conduceva fuori dal tempio. Il simbolismo si rifaceva all’asina di Balaam che intendeva meglio del padrone profeta la volontà di Dio, quindi monito alla Chiesa quando si allontanava dai valori spirituali. Nel capitello è umanizzato con fattezze demoniache a ricordare che il male è sempre presente nella vita.
Chi fu il Maestro d’Opera che progettò ed edificò Santa Maria degli Alemanni? Non lo sapremo mai, non conosceremo mai il suo nome. Egli è passato attraverso la materia per raggiungere lo spirito, perciò conosceva la lingua sacra e simbolica che traduce il mistero della vita. Ma prima di edificare la chiesa degli uomini, ha costruito la sua “chiesa” interiore compiendo un lavoro di trasformazione su sé stesso in senso iniziatico. Quando ha raggiunto completamente il centro più intimo del suo essere, ritrovando la fonte dell’energia e dell’equilibrio interiore, è diventato Maestro d’Opera e ha potuto costruire con le regole e le misure “segrete”. Il risultato, l’edificio sacro, è solo l’immagine del vero lavoro iniziatico, l’opera che sarà un dono elargito a tutti.
Ci vestiamo di abiti medievali e abbandoniamo le vacuità terrene perché solo così potremo almeno vederlo, effigiato nel portale laterale della chiesa di Santa Maria degli Alemanni. Capiremo che quella raffigurazione nell’archivolto di sinistra non è dell’arcangelo Michele, come si potrebbe pensare a prima vista perché tiene nelle mani la lancia e lo scudo crociato mentre trafigge il drago: lo stesso non può dirsi, infatti, per quella di destra, mancante dello scudo e dell’atteggiamento guerriero. È lui il Maestro d’Opera che ha lo scudo dei Cavalieri Teutonici che vollero la chiesa; è lui che ha voluto una rappresentazione doppia, non speculare, dello stesso personaggio; è lui che si è voluto raffigurare simbolicamente in tutti e due gli Arcangeli, una volta come Maestro d’Opera e una volta come Cavaliere-Maestro d’Opera. È lui perché non ha una lancia o la consueta spada fiammeggiante recante una croce all’estremità ma tiene in mano un bastone, il bastone del Maestro d’Opera sormontato dal “tirso”, antichissimo attributo di Dioniso
denotante autorità, dignità. Qui il “tirso” è rappresentato in forma di pigna e simboleggia, perciò, la forza vitale. E ambedue le figure non trafiggono il drago alato, lo toccano con la punta del bastone perché lui è il guardiano delle porte della conoscenza esoterica, lo sottomettono, lo soggiogano appoggiandovi la punta del bastone: sanno bene che il mostruoso animale è custode dei tesori e quindi dei segreti della conoscenza interiore.
Ci allontaniamo e ci giriamo per l’ultima volta verso il portale: il Maestro d’Opera ci sorride, ha capito che anche noi ci siamo messi in cammino per costruire la Chiesa dentro di noi.

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