Cucina messinese dal sapore natalizio. Si vuole, per antica tradizione, che la vigilia di Natale si mangi di magro. Giuseppe Arenaprimo, brillante intellettuale scomparso nell’alba fatale del 28 dicembre 1908, in una sua nota pagina apparsa nel giornaletto “Il Marchesino” il 25 dicembre 1897, ricorda che a Messina, ai tempi suoi, si rendeva omaggio a quella tradizione assaporando un bel piatto fumante di pescestocco a ghiotta. Ma dei nostri piatti rituali del 24 dicembre, di allora e di oggi, diremo meglio più avanti. Rileggiamo intanto volentieri quell’ingiallita pagina, per cogliervi fior da fiore.
L'affresco della città
Di tal giorno in riva allo Stretto, Arenaprimo ci offre un luminoso affresco. Nelle botteghe di frutta e verdura – “parate a festa” – in bella mostra la verde cona col Bambinello, modellata con rametti vari del sottobosco. E nelle panche, esposte ad arte, gli scacci: noci, mandorle, nocciole, castagne e carrube infornate, fichi secchi. Nei canestri, sistemati a piramide, ortaggi e frutta d’ogni genere; anche primizie, piselli, specialmente, carciofi, fagioli. In primo piano ovviamente gli agrumi, le arance e i mandarini dei nostri casali di collina, e anche le sorbe nataline, le melagrane. Alla Marina, nella Pescheria, c’è di tutto: capretti, ostriche e murene, anguille (agniddi) dei pantani di Faro e Ganzirri; e i venditori ambulanti di ceramiche calabresi. Tutti gridano, chi compra e chi vende, si litiga sul prezzo, sul peso. In giro per la città, gli zampognari si affrettano a concludere, casa per casa, la novena. Attendono ansiosi d’essere pagati, per tornarsene finalmente nella quiete dei campi, e godersi lì il Santo Natale. La devozione a Gesù Bambino nei lidi peloritani è molto diffusa. Una lampa ad olio votiva arde in ogni casa dinanzi al Presepio. Ma nelle case signorili prevale già la moda dell’albero di Natale. Una moda, commenta Arenaprimo, che il popolino non comprende. E allora, i consueti piatti messinesi della Vigilia. Piatti magri, si sa, in tale giorno, l’abbiamo già detto, non si mangia carne, non si cammara. Ecco dunque gli spaghetti con le vongole (o con le cozze, o con le vongole e le cozze insieme) oppure, se si vuole, gli spaghetti cosiddetti “alla milanese”. Quanto ai secondi, di regola l’anguilla e il baccalà.
La pasta con le vongole
Si pongono i molluschi in casseruola sul fuoco, e appena aperti si mettono via le valve. L’acqua resa dalle vongole, filtrata con del cotone idrofilo, va messa da parte. Nella casseruola rimessa sul fuoco, si lasciano rosolare degli spicchi di aglio sgusciati e interi, in olio e sale. S’aggiunge poi del prezzemolo e una giusta quantità dell’acqua filtrata. Si attende la bollitura per unirvi le vongole. Un po’ di pepe nero, e dopo dieci minuti di cottura l’intingolo è pronto ad accogliere gli spaghetti ben bene scolati.
Gli spaghetti “alla milanese”
Pochi gli ingredienti: filetti di acciughe salate, s’intende con cura dissalate e spinate, pangrattato, olio e pepe nero. In una scodellina con olio e pepe, su fuoco lento, i filetti vanno pestati col cucchiaio di legno fino a ridurli allo stato cremoso. Il pangrattato si fa dorare appena in un tegamino con un filo d’olio a fuoco lentissimo. Agli spaghetti, scolati a dovere, vanno uniti in casseruola la crema di acciughe e parte del pangrattato. Rimestare un po’ il tutto e portare in tavola. Nei piatti, spargere a volontà il pangrattato rimasto. L’anguilla va ridotta in pezzetti, più o meno di 5 centimetri, che s’infilano negli spiedini alternandoli con foglie d’alloro; e si fanno arrostire in graticola sulla brace, spennellandoli con un rametto d’origano intinto nell’olio. Condimento d’obbligo, il salmoriglio.
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