Dalla Juve ai vip, il segreto dello chef messinese Pietro D'Agostino: "Esserci al momento giusto" FOTO
«Sono sempre stato al posto giusto nel momento giusto. Ero e sono un grande lavoratore che si impegna molto». Da ragazzo ha preso un biglietto mettendo in valigia pochi elementi essenziali e ha girato il mondo sapendo in cuor suo che un giorno sarebbe tornato. Lì, di fronte al suo mare. Dove tutto ha avuto inizio. E ogni giorno, dalla sua cucina, si chiede quale sia la meta da raggiungere. Quella nuova, inesplorata. Non chiamatelo chef dei vip Pietro D’Agostino, classe 1972, non ama essere definito lo chef dei vip. Anche se il suo regno culinario lo hanno apprezzato davvero in molti. Come i giocatori della Juventus. «Ho coltivato sin da giovanissimo la passione per la cucina – raccontato il quasi cinquantenne cuoco messinese – e le nonne, Vincenzina e Giorgia che sono sempre state delle grandi cuoche e buongustaie, mi hanno ispirato. Anzi le mie si sono divise i compiti. Una era più incline a preparare i dolci, mentre l'altra amava preparare i secondi di carne pesce e soprattutto la pasta fresca. Piccola bella tradizione che ho ereditato nutrendomi a pieni occhi della laboriosità delle sue mani». Gli studi all'Istituto Alberghiero di Giarre, uno dei più rinomati, anche se in cuor suo sapeva che la vera palestra per un cuoco è la vita. Tra i fornelli naturalmente. E tutto cominciò dopo che gli chiesero: «Vuoi farti un'esperienza fuori per l'inverno e in Sicilia torni per l'estate?». L’Hyde Park Hotel di Londra «Il resto, che è arrivato dopo gli studi, lo considero il periodo fruttuoso in un campo di battaglia. Ho fatto stage formativi e lavorato in posti meravigliosi – prosegue Pietro – non trascurando mai la formazione e l'aggiornamento che considero fondamentale. A Londra ho avuto l'onore di lavorare all' Hyde Park Hotel, un luogo che a vent'anni ti riempie davvero gli occhi. Una vera minicittà in un albergo dove puoi trovare il fioraio, la tipografia, e il fabbro. Le brigate erano davvero numerose e un capo dirigeva tantissimi cuochi. Scene che probabilmente non si vedono più. E ricordo che era l'albergo preferito della regina Elisabetta, non solo perché era molto antico, ma perché c'era una finestra gigantesca che affacciava sul parco. Allora veniva con la buonanima della regina madre a sorseggiare un tè. Era il 1992, non vi erano i moderni telefonini, e io ero un giovane ventenne. Non ero ovviamente lo chef, ma ero nella brigata perché loro adoravano la cucina italiana». E lì a Londra il siciliano ha trascorso ben sette anni, avendo la possibilità di lavorare anche al’Hotel Dorchester, uno degli alberghi più lussuosi della capitale, famoso per il suo tradizionale tè delle cinque del pomeriggio e per l'invidiabile vista su Hyde Park , ma anche perché è anche una delle proprietà britanniche di Hassanal Bolkiah, il sultano del Brunei. Le navi da crociera e la Juve «Dopo anni meravigliosi – continua Pietro – sono approdato nelle navi da crociera e a 26 anni mi sono imbarcato sulla Disney Cruise Line. E quando ero lì, Fabrizio Cadei, con il quale avevo lavorato a Londra, mi prospettò l'idea di iniziare un percorso lavorativo insieme con lui. Diventai giovanissimo lo chef della Juventus, la mia squadra del cuore. E ci sono aneddoti curiosi. Ricordo ad esempio che i bianconeri mantenevano una dieta assai rigorosa. Mangiavano cose semplici, molta pastasciutta, verdure grigliate e molto pesce, mentre le squadre estere mangiavano anche cose non proprio leggere. Come le fritture». Un bagaglio importante che poi D' Agostino ha deciso di riportare nella sua terra. Facendo un viaggio al contrario. A 28 anni, dopo aver girovagato 13 anni. In lungo e in largo. accantonando mattoncino su mattoncino. Che insieme fanno esperienza. Il ritorno nella sua terra, a Taormina dove ora è lo chef stellato de "La Capinera". «A Taormina ho costruito insieme con le mie sorelle una bella realtà, perché la mia intenzione non era quella di fare numero ma puntare sulla qualità. Perché i ristoranti stellati, non sono né peggiori e né migliori di altri ma viaggiano sicuramente in un'ottica diversa. Io porto avanti una cucina che si basa su tre ingredienti fondamentali: creatività, memoria e territorio. E le mie sono ricette che ho ricevute in eredità dalle nonne che ho rivisto secondo gli occhi di uno chef che vive nel 2021».
Ambasciatore siciliano
E il talento siculo, fregiato anche del titolo di ambasciatore siciliano con una stella Michelin cucita addosso ha iniziato a valorizzare i prodotti del territorio in tempi non sospetti, creando piatti di grande armonia e avvalendosi dei migliori prodotti del territorio come la ricotta e i formaggi dei Nebrodi, il salame di Brolo, le lenticchie di Ustica, le mandorle di Noto, il pistacchio di Bronte, il cioccolato di Modica, e i capperi di Salina: «Sono ingredienti a cui non rinuncerei mai e che anche nelle mie tappe internazionali facevo arrivare direttamente dalla Sicilia – confida lo chef con orgoglio – ho sempre operato cercando infatti di tenere vivo il ricordo dei profumi di quando ero bambino: il pesce fresco, il pomodoro a maturazione naturale, le verdure appena colte e ancora oggi mi sforzo di proporre una cucina semplice e genuina, lontana dai sapori sofisticati».
Il libro scritto in era Covid
E tutto questo adesso è racchiuso anche in un libro, “Creatività, Memoria e Territorio”, maturato durante la pandemia: «Quella degli “chef-scrittori” – afferma – è una tendenza che si è amplificata sicuramente con il coronavirus. E mentre in casa tutti si sono messi ai fornelli, chi dietro ai fornelli di solito ci stava per lavoro come me ha deciso di mettere insieme le ricette che propongono la materia prima siciliana in una veste internazionale e ricercata». Quattro capitoli che rappresentano i quattro elementi della vita: Terra, Acqua, Fuoco e Aria, che diventano i protagonisti indiscussi di questi piatti e che rappresentano l’inizio di un dialogo con contadini, vignaioli, pescatori e macellai, che da sommi esperti del territorio lo raccontano in tutte le sue sfaccettature.