La “sua” carne è considerata salutare ed è un vera eccellenza siciliana. Ma soprattutto con pazienza e tenacia ha salvato il suino dei Nebrodi che fino a 25 anni fa era in via di estinzione. Lei, Luisa Agostino, premiata come imprenditrice dell'anno a Capo d'Orlando, donna tenace, elegante e lungimirante, lo ha portato non solo ad essere allevato, ma anche apprezzato in tutto il mondo. Ma guai a ricoprirla di complimenti, perché più dei traguardi e dei riconoscimenti, preferisce parlare dei segreti che portano a fare belle cose nella vita. E non appena le nominiamo la parola “sacrificio” prende una pausa per raccogliere i pensieri. La mente vola indietro nel tempo, tra le distese di campagna, quando ci si nutriva di pane e marmellata, dignità, case spartane, e vestiti passati di fratello in fratello. Una realtà che appare distante anni luce agli occhi dei giovani adolescenti. «Sono cresciuta nella povertà – racconta Luisa – e sono la sesta figlia di una famiglia dunque abbastanza numerosa. Dormivamo in sette in una stanza. In un lettone. Dico sette, perché papà erano sempre fuori. Erano tempi in cui si risparmiava. Papà lavorava sodo per edificarla una casa accogliente, e faceva quello che poteva con grande dignità. E l'amore che si respirava a casa , ci tengo a precisarlo, era impagabile». Papà Vincenzo adorava sua figlia e visto che aspettava sempre un figlio maschio amava scherzosamente chiamarla Luigi. E Luisa stava sempre allo scherzo pensando al futuro: «Io volevo studiare, ma purtroppo finita la terza media i soldi per continuare non c'erano, così dovetti fermarmi». Tanti sconforti a scuola, fino a quel momento. Quando pioveva il terriccio si appiccicava alle scarpe, e i compagni di scuola la fissavano dall’alto in basso, e la giovine si sentiva emarginata, mentre si aggrappava all'unica cosa che aveva: la cintura con cui tratteneva i libri. Ma il libro bianco, quello del riscatto, era tutto da scrivere. Con dignità. «Le mie sorelle lavoravano già e ricordo che anche io ad un certo punto andai a lavorare in una macelleria di Mirto. Avevo 15 anni e cominciai facendo involtini e salsiccia. Il titolare, Sebastiano, era colui che sarebbe diventato mio marito, mentre mia cognata, macellaia bravissima, è stata colei che mi ha trasmesso tantissimo». In pochi anni la situazione cambiò. E Luisa, rimasta sola con il marito dovette prendere in mano le redini. Diventando di fatto macellaia perché altrimenti il marito avrebbe dovuto cercare una nuova figura da impiegare. «Alla fine, nel 1996, arrivò un momento di svolta. La Regione siciliana ci propose un progetto per la valorizzazione del suino nero che era in via di estinzione. Un affare poco redditizio a causa delle ridotte dimensioni degli animali e della loro grande quantità di grasso corporeo. Inizialmente non è stato facile perché nessuno voleva allevare il suino nero ma noi andavamo controcorrente, perché mentre quasi tutti lavoravano con maiali allevati in strutture intensive, che in meno di 8 mesi raggiungevano il peso di 200 chili, con una resa basata principalmente su massa muscolare , noi rincorrevamo per i boschi i nostri capi, che per raggiungere il peso di 110 chili impiegano almeno 20/24 mesi. Per avere, poi, il 30 % di muscolo e il 70 di massa grassa». Eppure, è proprio il grasso a rendere questa carne così particolare, perché contiene, come messo nero su bianco dall'Università La Sapienza di Roma, il 45% di acidi grassi polinsaturi e di acido oleico, ovvero i grassi che aiutano a combattere il colesterolo. Una bella notizia da veicolare per il territorio. E la coppia una volta compresa il modo migliore per allevare i capi è passata alla fase dei lavorazione dei salumi pensando, e il tempo gli ha dato ragione, che si potevano realizzare prodotti eccezionali, anche se la nostra Regione è povera di questi. Ma è arrivata in soccorso l' Università di Parma: «Abbiamo dunque iniziato con salame e salsiccia lavorata rispettando sempre la tradizione locale: carne tagliata al ceppo, al coltello e solo budello naturale, e poi ci siamo lanciati nell'avventura del prosciutto del Suino dei Nebrodi. E alla lunga abbiamo scoperto cosa poteva venire fuori in un territorio come il nostro. Un prosciutto che si distingueva per profumi e sapori, che poteva essere fatto solo da noi con profumi di frutta secca, fungo porcino, mandorlato, grazie alla conservazione per quasi due anni in cantine nostre naturali». Oggi i consumatori apprezzano la differenza, l’ottenimento nel 2000 del presidio Slow Food è servito molto per far conoscere la bontà del suino. E grandi chef come Pino Cuttaia, Niko Romito e Ciccio Sultano, e Antonino Cannavacciuolo, non lo fanno mancare nel loro regno culinario: «Ho ricevuto tanti riconoscimenti, tra cui il "Premio Mondo Donna all'imprenditoria 2021" ma la gioia più grande è portare alto il nome della Sicilia. Ovunque. E ai ragazzi dico di rischiare, di tornare alle origini, e di farsi le ossa. Perché la frase "Se tu ci credi vai avanti" è vera. E lo dico – conclude – oggi da bambina diventata grande. Che ha fatto crescere l'azienda di suo marito. Entrando con umiltà e fame di fare bene. E oggi Mirto viene ricordato per il suino nero dei Nebrodi ». Le sfide le ha sempre accolte. E prima ancora che qualcuno le dicesse cosa fare Luisa prendeva e architettava un nuovo piano. Dal suo commercialista ad esempio ha preso tantissime lezioni. «Il mio sogno era fare conoscere questo prodotto in tutto il mondo ma dovevo attrezzarmi per le spedizioni. Non sapevo usare il pc e tanto meno fare fatture. Ma il mio commercialista è stato il mio mentore e io non mi sono tirata indietro. Le spedizioni, inizialmente, le facevo senza dire nulla a mio marito. Una postina era la mia complice. E mi aiutava tantissimo. Dopo aver messo un bel gruzzoletto da parte, ricordo che mio marito, mi presentò delle incombenze da pagare. E a quel punto gli dissi che potevamo usare benissimo le risorse che erano frutto delle spedizioni, che mi ero intestardita a fare. Era bello ripagare anche in questo modo l'uomo, il mio compagno di vita che mi ha messo in mano l'azienda di famiglia».