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I salesiani riconsegnano il "Savio" all'Arcidiocesi. Un tuffo al cuore per i messinesi

È stata una fitta al cuore. Dolorosa. Tanto. All’improvviso sono come tornati indietro i nostri anni e quelli dei nostri figli in quei cortili, in quelle aule (“A come armaturaaaa... B come bravuraaaaa...”), dove intere generazioni di messinesi hanno trascorso un grande pezzo felice della propria esistenza. In classe ma anche tra un pantalone bucato sulle mattonelle giocando a calcio, basket, pallavolo, nascondino, fazzoletto, dalla sera alla mattina, tra una preghiera recitata magari un po’ di corsa per andare in fretta a giocare, una marsigliese con la mortadella e una “carta da musica” sgranocchiata durante l’intervallo.

Chi scrive non ha vergogna d’ammettere che mentre scrive ha le lacrime

E non è il solo in questo periodo, dopo la notizia della dismissione.
Se il “Savio” chiude si chiude un pezzo delle nostre anime, scompare una comunità nel senso più alto del termine. Una comunità che andava ben oltre quelle mura, ma proseguiva nelle nostre case, nella casa del Signore. E non guardiamo soltanto all’oggi, ma anche a quello che la chiesa, la scuola, ma soprattutto l’oratorio pomeridiano hanno rappresentato per molti decenni e per migliaia di messinesi.

L’oratorio è stata una vera “camera di compensazione” tra ragazzi di tutti i ceti sociali, tra chi si poteva permettere il cinema e il gelato e chi no, tra chi si poteva portare da casa una ricca merenda e chi aveva un cestino semivuoto, tra chi aveva le scarpe sempre nuove e chi ereditava quelle del fratello più grande. E spesso, molto spesso, anzi quasi sempre, queste differenze venivano completamente annullate da amicizie fraterne. Senza badare alla provenienza ma soltanto alla squadra in cui si giocava o alla classe dove si studiava. Ripensateci.

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