«Una terapia antiaggregante guidata da un test di funzionalità piastrinica o da un test genetico si associa, nei pazienti sottoposti ad angioplastica coronarica, a “outcomes” cardiovascolari migliori rispetto alla terapia antiaggregante standard. In sostanza si ridurrebbero infarti, sanguinamenti e morti». Il tutto emerge da un'analisi, realizzata da un gruppo di ricercatori italiani che hanno pubblicato i risultati sulla rivista Lancet. Primo firmatario il messinese Mattia Galli, classe 1991, medico e ricercatore.
Il racconto di Mattia Galli
«Sin da bambino, grazie a mio papà, ho capito – racconta Mattia – che quello del medico non fosse un lavoro come un altro. Indossare un camice bianco è abbracciare uno stile di vita, un modo di approcciarsi all’individuo con il semplice fine di aiutarlo in maniera incondizionata grazie alle proprie competenze. Un lavoro sicuramente stressante e impegnativo come pochi, non sempre ben remunerato, specialmente in Italia, ma che non cambierei con nessun altro proprio perché tornando a casa sai di aver fatto qualcosa di importante». E tutto è iniziato al Campus Biomedico di Roma, un Ateneo di altissimo livello, dove il giovane ha concluso brillantemente gli studi con lode approdando per la specializzazione in Cardiologia al Policlinico Gemelli.
«La considero una scelta vincente perché, quella del prof. Filippo Crea, è una scuola volta alla formazione delle figura del “physician- scientist”, ovvero del medico ricercatore. Il dedicarsi a entrambi gli aspetti non li penalizza ma li fortifica. Essere un Cardiologo con la “C” maiuscola nel 2021 vuol dire essere costantemente aggiornato e poter contribuire all' innovazione medica. All’Università Cattolica del Sacro Cuore, ho avuto, inoltre, l’opportunità di iniziare un percorso di dottorato di pari passo all’ultimo anno di specializzazione in Malattie dell’apparato cardiovascolare». Mattia era irrefrenabile, voleva saziare la sua curiosità, ma soprattutto era convinto che un' esperienza all’estero fosse fondamentale per la crescita personale, professionale e scientifica. «Gli Stati Uniti rimangono a tutt’oggi un riferimento. E poi, per un siciliano, la Florida era un’opzione piuttosto allettante. Così una volta finita la Specializzazione non ho perso tempo e dopo due settimane ero già negli States. All’inizio non è stato facile, anche per via dell’epidemia in corso, ma non potevo trovare un contesto migliore di quello creato dal messinese Dominick Angiolillo, uno dei massimi esperti di terapia antitrombotica, qui a Jacksonville, in una delle più prestigiose università americane, la University of Florida».
Il sogno americano
L'american dream non rimane solo un mito cinematografico, ma un ambiente stimolante, in cui vieni posto nella condizione di fare bene. E il duro lavoro insieme al legame con lo strettese Angiolillo, "adottato" dall'America, hanno fatto il resto. É nato così un grande contributo su una delle riviste scientifiche più longeve e importanti al mondo che pone scenari interessanti: «Il concetto di personalizzazione della terapia in medicina è promettente, – puntualizza il ricercatore – ma nell’ambito della terapia antitrombotica si era purtroppo arrivati a un punto cieco, per via di alcuni limiti degli studi sull’argomento. Eppure, il razionale per un uso “guidato” della terapia antiaggregante è molto forte, perché il farmaco più comunemente utilizzato, il clopidogrel, ha un effetto subottimale in circa il 30% dei pazienti che ne fanno utilizzo. E in questi, il rischio di eventi avversi di tipo ischemico, in seguito a una procedura di angioplastica con impianto di stent coronarico (di solito a seguito di un infarto o una angina) è molto alto. Attraverso l’utilizzo di alcuni semplici strumenti volti a valutare la funzione piastrinica o il profilo genetico responsabile del metabolismo del farmaco, possiamo identificare i pazienti che non sono suscettibili al trattamento con clopidogrel e utilizzare in questi farmaci alternativi, prevenendo quindi gli eventi avversi grazie a una personalizzazione della terapia».
Oltre i limiti
Questo studio metanalitico, ovvero una ricerca comprensiva di tutti gli studi, ha superato i limiti dei singoli contributi. «Siamo riusciti a produrre una ricerca che pensiamo possa contribuire a rivoluzionare il settore e cambiare la pratica clinica, ottimizzando i benefici (prevenzione di eventi ischemici come l’infarto, l’ictus o la morte da cause cardiovascolari) riducendo al minimo i rischi (sanguinamenti) legati all’utilizzo di questi farmaci». Il giovane messinese, giocatore di pallavolo e amante dello sport, intanto, continua il suo percorso sperando di portare il suo bagaglio nel nostro Paese, troppo abituato a piangere la diaspora delle menti migliori: «Vorrei lavorare come cardiologo in un contesto stimolante che mi permetta di continuare a fare ricerca e proseguire il percorso che ho iniziato. Credo sia importante riportare la mia esperienza in Italia, affinché possa essere di ispirazione e stimolo per i giovani, che spesso meritano più di quello che ricevono. Purtroppo, però, per quanto si parli tanto di “cervelli in fuga”, non si fa molto per favorire il loro rientro. Meritocrazia e rispetto della professionalità sono elementi fondamentali perché questo possa accadere. Io resto ottimista...».
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