Ci sono reperti e reperti. L’archeologia dissemina tracce dovunque, la storia distrugge e ricostruisce, la stupidità umana fa solo danni, più di qualunque bomba o terremoto. E la nave Cariddi, quel che resta dello storico traghetto ferroviario costruito nel 1932, è davvero uno dei monumenti all’imbecillità. La sua vicenda - come ricostruisce la Gazzetta del Sud oggi in edicola - è stata raccontata innumerevoli volte, simbolo di un’epoca gloriosa e poi dello spreco di risorse di un ente pubblico, l’ex Provincia regionale, che riuscì nel corso dei decenni a realizzare uno dei suoi capolavori da teatro dell’assurdo: acquistare la nave, spenderci una barca di soldi pubblici, farla morire di consunzione, lasciarla affondare nelle acque del porto. Più ci si pensa e più c’è da uscire pazzi... Le bellissime immagini realizzate da alcuni subacquei ci riportano nel luogo del delitto, lì dove anche una parte di Messina è naufragata in quel mare di inerzia, di sperperi e di danni all’erario. Era il gioiellino delle Fs, quello uscito dai Cantieri riuniti dell’Adriatico di Trieste, esattamente 87 anni fa. Faceva la spola tra le due sponde, avanti e indietro, avanti e indietro, inconfondibile immagine dell’era eroica dei “ferribbotte”. Il 16 agosto 1943, nella Messina bombardata, anche la povera Cariddi, che era stata colpita ma non mortalmente, andò incontro a una triste sorte. Incalzavano le truppe alleate, si decise di auto-affondarla, lei resistette fiera, come raccontano le cronache d’un tempo da trasmettere ai bambini come leggende, «e per farla andar giù, fu necessario ricorrere all’esplosivo procurando una falla a bordo. Ciò accelerò l’affondamento della nave ma, purtroppo, anche il suo ribaltamento. Il traghetto si ritrovò, così, adagiato, capovolto, su un fondale di circa 20 metri e così rimase per circa sei anni».