Più che un concerto, un recital, quasi un’esibizione recitata sul filo dei ricordi e delle note racchiusa in poco meno di due ore volate via tra applausi e sorrisi: la leggerezza, infatti, è stata la cifra tecnica caratterizzante della tappa messinese (unica in Sicilia) di Amii Stewart al Teatro Vittorio Emanuele. L’ex ballerina americana, che ha esordito sulle tavole dei palcoscenici di Broadway e si è trasferita ben presto nel Bel Paese per trovare affermazione professionale e un’insperata quanto meritata carriera di cantante, ha regalato piacevoli emozioni e continui tuffi nel passato attraverso un repertorio variegato e inconsueto. Il tutto dominato da unico denominatore comune: la nitidezza di una voce limpida e potente tanto da mettere in secondo piano una carta d’identità non più verde (classe 1956) oltre a una notevole presenza scenica, costellata da movimenti coreografici puntuali e sublimata da una bellezza misteriosamente rimasta intatta e sorda al trascorrere del tempo. La “pantera di Washington”, che ha fatto il suo ingresso trionfale al tramonto degli anni 70 con una “hit” divenuta poi un cult della dance («Knock on wood» consegnato in apertura di serata), ha voluto subito coinvolgere il pubblico con il ritmo della “Disco Music” citando al microfono classici come «Lady Marmalade» (Labelle), «Turn your love around» (George Benson), «Ain’t nobody» (Chaka Khan) in un crescendo di esaltazione che apparentemente strideva col contesto un po’ più sobrio, ma che invece ha raccolto l’immediato interesse degli spettatori, alcuni dei quali hanno anche improvvisato coraggiosi tentativi di ballo sulle proprie poltrone. Ma la Stewart è anche, o soprattutto, un’interprete raffinata che ha lavorato con giganti della musica come Ennio Morricone e Nicola Piovani, e allora, come trascinati sui binari delle montagne russe, dopo un omaggio alla memoria di un suo grande amico e partner artistico («Friends» di Mike Francis) repentinamente i toni si sono smorzati e l’atmosfera si è rarefatta così come le luci sempre più basse a sottolineare un deciso cambio di rotta. La parte acustica ha preso il sopravvento grazie a capolavori assoluti del sound nostrano, a cominciare da Pino Daniele: «Che male c’è» e «Quando» sono stati due regali preziosi per la platea perché “arrangiati” col solo ausilio della chitarra e una voce docile e tranciante allo stesso tempo che ha rispettato la metrica e la melodia del genio napoletano regalandogli però quell’anima “black” che lo ha impreziosito di sensazioni nuove ma pur sempre rispettose degli inarrivabili originali. Ma, come se non bastasse, altre due cime da scalare. Prima Mina con «Ancora» in una veste ammaliante e sexy e poi Lucio Battisti in versione intimista che ne ha sottolineato ancora una volta, semmai ce ne fosse ancora bisogno, la grandezza del testo del maestro Mogol. Una «E penso a te» sussurrata nell’inciso e poi “sparata” alla fine in un acuto che non poteva che strappare l’ovazione degli astanti. Il sentiero impervio e pericoloso dei “mostri sacri” italiani” si è concluso con «Un Senso» di Vasco Rossi certamente meno rock e graffiato del “Blasco” ma ugualmente convincente per la partecipazione emotiva che ci ha messo la protagonista. Inevitabili, visto il periodo natalizio, le incursioni su un paio di pezzi-manifesto come «Last Christmas» degli Wham e «All I want for Christmas is you» di Mariah Carey, che hanno avuto il merito di riportare l’atmosfera del pubblico in un mood più rilassato e ludico. L’ultima parte dell’esibizione è stata dedicata all’anima “soul” della Stewart, forse la più vera e più dentro le corde di quel suo timbro vagamente easy-jazz. E, quindi, non poteva mancare l’immersione nel repertorio della più grande di tutte: Aretha Franklyn. Il “funky groove” regalato da «Freeway of love» e «Natural woman» è stato all’altezza delle aspettative grazie a una perfetta adesione tra interpretazione ed esecuzione strumentistica grazie agli ottimi musicisti (peraltro tutti siciliani) che hanno accompagnato brillantemente la cantante statunitense nel corso della sua performance anche con “assolo” molto apprezzati. Come on Amii, see you again...