"Frigo vuoto” è una metafora. Di quello che manca a tanti: certezze, sogni, realizzazione. “E’ la storia di una persona, che poi sono tante persone, che un giorno qualsiasi, dopo tanti giorni qualsiasi di scazzo, stanchezza, svogliatezza... ha fame ma non ha la spesa. E’ lentezza versus frenesia, la vita veloce contro quella che aspetta. Parla dell'energia, quella positiva, che ti spinge a riempire, per non trovarti ancora senza”.
“Frigo Vuoto” è l’opera prima dei Moscova. E i Moscova, ovvero Domenico, Giuliano e Stefano, sono la sintesi di tre personalità distinte unite da un’affinità elettiva. Si sono “messi insieme” per uno di quei casi fortunati e fortuiti, un anno fa. Mimmo Giordano e Giuliano Cento si sono incontrati nella “tana” di Stefano Radice, eppure già si conoscevano. La loro prima volta fu in uno studio di registrazione a Messina, erano già entrambi attivi nel circuito amatoriale della città, ma fin lì nessuna simpatia. Uno 29 anni e l’altro 31, uno una laurea in psicologia e un posto da Amazon e l’altro un lavoro nella grande distribuzione. Le loro famiglie sono ancora giù, solo loro sono “emigrati” in Lombardia per avere possibilità (“quindi, rigorosamente, ogni estate, ci rifacciamo dello Stretto per almeno due settimane”). E questa, il singolo uscito il 25 febbraio (prodotto da “Le stanze dischi”), è la prima.
Musicalmente, l'atmosfera delle parole com'è resa nel pezzo?
“Nel contrasto. Tra la voce di Giuliano che è molto indie, riflessiva, forse anche malinconica. Mentre sotto tutto suona happy, con la cassa in quarti, i synth e un sound che pesca nei 70, tra tastiere e giri di chitarra di quella moda lì… mischiata all'elettronica più moderna. Un ritmo fischiettevole e un sorriso mezzo amaro nei confronti dell’esistenza”.
Questo singolo anticipa qualcosa o è autoconcludente?
“I nostri pezzi seguono un filo senza volerlo. Ognuno vale per sé mentre si incastra con gli altri. Il progetto con l'etichetta prevede di far uscire 3 brani, uno al mese, che probabilmente poi andranno a comporre un ep. Non è un colpo sparato nel vuoto, piuttosto il tratto di un disegno”.
Qual è la differenza tra un cantante con la sua band e un gruppo?
“Giuliano è ancora il cantautore della situazione. L'upgrade è stato il fattore musicale, che si è arricchito con la firma degli altri due”.
Bisogna intendere la vita allo stesso modo perché tutti si trovino nei testi di uno solo?
“Serve feeling, noi l’abbiamo. I Cento (così si chiamavano prima, col cognome di Giuliano) avevano un batterista fuori dalla nostra fase. E ci rallentava, senza siamo schizzati e le opportunità sono arrivate. Se ci fossimo imposti uno standard saremmo ancora là. Fermi, col frigo vuoto”.
E questo nome iper milanese?
“I produttori ci hanno beccato ad un contest (che hanno vinto, perciò nel 2023 saranno in giro per le Feltrinelli d’Italia a promuovere “Verde Scuro”), abbiamo parlato del nome che faceva schifo e di come cambiarlo. Ci ha pensato Giuliano ispirandosi alla fermata della metro ed è piaciuto a tutti”.
Qual è la dimensione dei vostri live?
“Un riarrangiamento, non semplice esecuzione. Senza batteria, creiamo sequenze con effetti. E anche se lo stadio è un'ambizione, procediamo per tappe, da piccoli a grandi. Ma intanto il nostro primo live lo abbiamo fatto all'Ariston!”.
A Sanremo Rock…
“E siamo arrivati alle porte della finale… mica male!”.
L’obiettivo?
“Vivere di questo”.
Poi, semmai andasse male con la musica... c'è sempre quell'altro progetto. Sfondare nel mondo dei comici con una cover invertita di Aldo Giovanni e Giacomo. Due messinesi e un “polentone” (e niente, si ride).
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