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Rifiuti in fiamme a Maregrosso, a Messina un delitto che si reitera sempre - Foto

“Territorio sottoposto a sequestro giudiziario. Divieto di discarica”. Vedete le immagini che pubblichiamo accanto, scattate alle 18 di sabato da Elio Conti Nibali, e l’articolo potrebbe già finire qui. C’è bisogno di aggiungere altre parole?

Segnali di fumo dal litorale di Maregrosso, il cuore della città sottratto ai messinesi e ammorbato, come un corpo violentato da un branco. È la violenza che da anni subisce il nostro presente, rimpiangendo un passato che non torna mai e sognando un futuro che non esiste.

Perché quello che conta è solo il presente, istante dopo istante, e se si continua a rinunciare a viverlo, parlando sempre di progetti avveniristici o piangendo sul latte già versato, il risultato è questo. A chi ha figli che vanno già verso i venti o trent’anni, è stata consegnata questa porzione di territorio, non altra, non quella dei Patti per la Falce, dei Pon Metro, dei Masterplan, dei Piani strategici “Messina 2020” o “Messina 2030”.

A intere generazioni di messinesi si è dovuto dire, e lo si continua a fare, “non andate nella Zona falcata”, “non recatevi a Maregrosso”, perché è pericoloso, perché vi dovreste vergognare dei vostri nonni e padri, incapaci di custodire un simile scrigno di bellezza.

Hanno scaricato rifiuti e materiali inerti. Li hanno dati alle fiamme. E questo è avvenuto sabato 16 febbraio 2019, alle 18, in un “territorio sottoposto a sequestro giudiziario”, non mesi o anni addietro, ma solo qualche ora fa. Si torna impunemente nel luogo del delitto, alla faccia di qualunque provvedimento, in barba perfino a precisi atti giudiziari.

Non ce ne facciamo niente dei milioni annunciati prima, durante e dopo le Finanziarie regionali votate in extremis. Niente dei proclami e delle promesse. Ne abbiamo sentiti così tanti in questi decenni che si sarebbe potuto realizzare altro che il Ponte sullo Stretto, ma una nuova fantasmagorica città.

Ci si è sempre salvati in calcio d’angolo, con la scusa di confondere i livelli di responsabilità, senza far capire chi deve far rispettare le regole e di chi sono titolarità e competenze. Ma se si crea un’enorme discarica abusiva a cielo aperto e s’incendiano rifiuti pericolosi, sollevando nubi nere di gas e veleni potenzialmente tossici e nocivi, in un terreno privato, paga le conseguenze ovviamente chi ne è proprietario. E allora perché non si attua lo stesso principio per la “res publica”?

La magistratura è intervenuta, affidando il compito di porre sotto sequestro le aree alla Guardia costiera. Ma sono trascorsi i mesi ed è come non fosse mai accaduto nulla. I terreni sono demaniali, hanno competenze dunque, l’assessorato regionale al Territorio e Ambiente e la Capitaneria di porto. Ma chi avrebbe dovuto smaltire i rifiuti, e non lo ha fatto nel passato (ma continua a non farlo anche ora), è il Comune con la società che si occupa dell’igiene ambientale, cioè la Messina Servizi. Nel caso della Real Cittadella, entra in ballo anche la Soprintendenza ai Beni culturali, visto che si tratta di un monumento posto sotto vincolo.

Sono questi i soggetti che devono agire, che devono dare conto e ragione del perché non si sia fatto niente fino ad oggi, a parte l’annuncio dello stanziamento di un milione e mezzo di euro per la bonifica del litorale di Maregrosso. Vogliamo vedere quei soldi spesi fino all’ultimo centesimo per il risanamento e la riqualificazione della zona. Ma vogliamo che ciò accada oggi, non in un domani proiettato in un orizzonte dove non esistono certezze. Piangiamo e rimpiangiamo il passato, ci cibiamo di futuro, e il presente è questo: solo fumo nero che ammorba il cielo sopra la Falce e Maregrosso.

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