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Ad Alcara restaurati i dipinti medievali della chiesa di S. Maria del Rogato

Presentato nella sala dell’Accademia dei Pericolanti il volume “La Koimesis della chiesa di Santa Maria del Rogato ad Alcara Li Fusi. Il restauro e gli aspetti tecnico-stilistici” Gangemi editore, curato dalla storica dell’arte Grazia Musolino e dai restauratori dell’ISCR (Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro), Davide Rigaglia e Valentina Romè a conclusione del restauro dei dipinti medievali della chiesa di S. Maria del Rogato di Alcara Li Fusi.

Il lungo e delicato intervento di restauro conservativo, diretto dalla Musolino e condotto da Rigaglia e Romè, è stato possibile grazie alla partecipazione sinergica di tanti attori, pubblici, associativi e privati che hanno consentito il ripristino dell’affresco con la raffigurazione della Dormitio Virginis databile all’inizio del XIV secolo e il recupero di un notevolissimo pannello coevo raffigurante tre Santi, situato nella stessa parete e ad altri suggestivi brani frammentari, che ricoprono le pareti dell’intera chiesa, che permette una rilettura dell’impianto architettonico originario.

Un complesso monastico che, quasi certamente di fondazione normanna, documentato nelle fonti agiografiche a partire dal 1137, è una testimonianza artistica e storico- documentaria riconducibile alla cultura e al mondo monastico italo-greco del Valdemone, che, con il ciclo pittorico, consente di valutare i rapporti con le espressioni artistiche nell’ambito della produzione monastico bizantina isolana tra il XII e il XIII sec. Il complesso, di proprietà privata, è stato vincolato dalla Soprintendenza di Messina nel 1992, quando Grazia Musolino dirigeva la U.O. Beni storico- artistici della Soprintendenza di Messina, per la sua eccezionale rilevanza architettonica e storico artistica; quindi è stato acquistato dalla Curia di Patti grazie ai generosi contributi della comunità alcarese raccolti su iniziativa del Comitato di San Nicolò Politi e si è proceduto agli interventi che riguardano anche la fruibilità e la messa in sicurezza dell’edificio, svoltisi tra il 2014 e il 2019 .

Questo progetto racconta di un ritorno, perchè la Chiesa ha riacquisito un bene che gli era stato sottratto e incamerato con le nefaste leggi eversive post unitarie del 1886 che, in generale, hanno comportato vendite all’asta a privati dei beni ecclesiastici, sottratti così alla pubblica fruizione e spesso, come in questo caso, destinati ad un intollerabile degrado e ad una inesorabile perdita. L’evento di presentazione del volume, è stato introdotto dal professore Giovanni Cupaiuolo, vicepresidente dell’Accademia e dagli interventi dei promotori e finanziatori del recupero del cenobio basiliano, Angelo Maria Romano, il Past President del Rotary Club di Sant’Agata Militello, Orazio Faraci presidente del Comitato dei festeggiamenti in onore di San Nicolò Politi. Sono intervenuti gli autori e Lorenzo Arizza che ha illustrato l’esito e delle indagini scientifiche e micro-distruttive a supporto del restauro .

Durante la conferenza è stato ripercorso l’iter tecnico amministrativo che dall’emanazione del vincolo, ha consentito nel 2012 la riacquisizione del complesso monumentale, la messa in sicurezza propedeutica al restauro della decorazione pittorica che, ad eccezione della sola Koimesis, era stata occultata nel corso dei secoli da scialbature di malta e intonaci. Un recupero eccezionale che riconsegna una rara testimonianza architettonica della riaffermazione del monachesimo basiliano in età altomedievale, impreziosita da un testo pittorico fra i più significativi nell’Isola, come ha documentato, nell’accurato intervento di presentazione del volume, Caterina Di Giacomo storica dell’arte e già direttore del MuMe, evidenziando in che misura la disamina degli aspetti storico artistici della Koimesis e dei frammenti pittorici disvelati, di Grazia Musolino e quella delle stratificazioni costruttive dell’edificio di Davide Rigaglia, si fondino sui dati scientifici emersi dal protocollo di indagini, cui hanno partecipato Ottaviano Caruso Giuliana Taglieri e Lorenzo Arrizza e sulle risultanze dei restauri fino a pervenire ad una datazione del nucleo più antico, entro i primi decenni del XIV secolo, in concomitanza con gli anni fecondi del regno di Federico III, quando la Dormitio alcarese, si pone come la versione più integra fra quelle che nel Mezzogiorno d’Italia occidentalizzano lo schema iconografico bizantino armonizzando un lemmario che desume citazioni e modelli dai repertori sinaitici libanesi e ciprioti.

 

 

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