Tutto parte da una scatola di latta. C’è da immaginarsela impolverata e quasi dimenticata in un angolo. Finché qualcuno non ha tolto quella polvere, ha aperto la scatola e tirato fuori ciò che era custodito lì, probabilmente, da circa un secolo. Un film. “Pezzi” di film, come cocci di un vaso prezioso rotto chissà quando. Rimessi insieme grazie ad un mix sempre vincente di passione e competenza per far ritorno, il prossimo 26 novembre, sul grande schermo. E non un grande schermo qualsiasi, ma quello del teatro Massimo di Torino, sede della quarantesima edizione del Torino Film Festival.
A trovare quella scatola di latta è stato Maurilio Forestieri, messinese, studente del corso di Conservazione e Management del patrimonio audiovisivo al Centro di sperimentale. Ed è tutto messinese il lavoro di restauro che ridarà vita ad un cortometraggio datato 1928, “Occhio di Shivah” di Gardengi, regia artistica dei Fratelli Mantovani. Si sa poco o nulla dell’autore, forse un esponente di una famiglia borghese di Milano con la passione per il cinema.
Con Forestieri protagonista del ritrovamento è Isabella La Fauci, laureata in fotografia alla Laba di Firenze. E decisiva è stata l’intuizione un altro giovane messinese, Angelo Scuderi, dottorando in Scienze cognitive in riva allo Stretto: è sua la segnalazione che permette a Forestieri di entrare in contatto con la struttura ricettive “Lanterne magiche”, a Ortigia, proprietaria di Palazzo Corpaci, che ospita materiali cinematografici storici dell’ex Museo del Cinema di Siracusa.
È qui, durante un’ispezione il 25 aprile scorso, che Forestieri trova la famosa scatola di latta, a cui interno ci sono circa 50 spezzoni di pellicola in formato 9.5 “Pathè Baby”, in negativo camera, avvolti in fogli di carta. «Un negativo camera mai montato, probabilmente girato da amatoriale», verrà poi spiegato. Sulla scatola un’etichetta, col titolo del film e l’anno, 1928. A quel punto Forestieri inizia a lavorare su quei reperti, in collaborazione con il Museo Nazionale del Cinema di Torino. Si intuisce subito che quegli spezzono sono reperti di grande valore storico: dentro ci sono i cartelli classici del cinema muto, con i probabili dialoghi del film scritti a penna. E, sempre scritti a penna, ci sono i numeri che indicano la sequenza di montaggio del film.
Il restauro dura circa un mese e vede protagonista, oltre ai referenti del progetto Maurilio Forestieri e Francesco Torre, un gruppo di volontari della Cineteca dello Stretto: Isabella La Fauci, Angelo Scuderi, Marianna Scalas (che si occupa della traduzione in inglese), Lavinia Giacobbe, Alice Camardella e Luca Di Paola. Un’occasione per dare lustro ad una realtà, quella della Cineteca dello Stretto, appunto, che si è costituita ufficialmente a giugno scorso, dopo l’accordo tra il Comune di Messina e la storica associazione culturale Cineforum Orione, per la nascita della prime cineteca comunale messinese. Un gruppo che si forma attorno al cinema e per il cinema, di ieri e di oggi, attualmente impegnato nella catalogazione e valorizzazione dell’intero patrimonio cinematografico messinese.
Non capita tutti i giorni, però, di lavorare al restauro di un film degli anni ‘20. Un’operazione eseguita in varie fasi: prima la pulitura manuale della pellicola e il suo montaggio, poi la digitalizzazione, quindi la post-produzione ed il restauro della versione digitale. Ne è venuto fuori un cortometraggio di circa 15 minuti, un film muto a tema avventuristico, nel quale sono stati inseriti gli intertitoli, «sempre seguendo in maniera filologica e la volontà del regista e ricostruendo digitalmente le cornici da lui disegnate», ci tiene a sottolineare Forestieri.
Il gran finale sarà fra una settimana, al teatro Massimo di Torino, per la proiezione in un’occasione speciale: il centenario della nascita del formato 9.5 millimetri. Quella sera il film sarà anche musicato dal vivo. La magia del cinema è anche questa: un’anteprima assoluta dopo quasi cent’anni trascorsi dentro una scatola di latta.
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