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Peppino che era prigioniero in Africa e scriveva la sua musica sulle cartoline

In un libro la singolare vicenda di un soldato messinese durante la II Guerra mondiale. Il volume del giovane studioso barcellonese Marco Spada

Si chiama “Dal Niceto al Nilo - Storia di una prigionia in terra d’Africa”, il libro del talentuoso professore siciliano Marco Spada, classe 1996, pubblicato con Morrone editore, uscito il 3 agosto. E in pochissime pagine, che si leggono tutto di un fiato, irrompe non soltanto la grande Storia, che conosciamo tutti sottolineata al liceo, ma la microstoria. Quella fatta dagli uomini e le donne che hanno vissuto sulla propria pelle la guerra. «Il libro nasce da tre punti – racconta Spada – da una cinquantina di lettere che raccontano il dramma della prigionia, numerose incognite da dover risolvere e una storiografia pressoché assente sull'argomento. I campi di concentramento degli alleati in Africa non sono mai stati messi in risalto dalla storiografia, se non in un lavoro di Arrigo Petacco e in alcuni studi del prof. Nicola Labanca. E all'interno dei lager inglesi in Egitto, i prigionieri erano in primis italiani».

Nelle pagine si racconta con accuratezza la vicenda della detenzione di Peppino Sgrò - chiamato dagli abitanti di San Pier Niceto, suo paese di origine, col soprannome di “Peppinu dda vinedda” - un ragazzo poco più che ventenne ritrovatosi a dover affrontare l’inferno della Seconda guerra mondiale e della prigionia nei lager inglesi. E grazie alle lettere ritrovate e al lavoro in archivio, lo storico Spada è riuscito a ricostruire la storia di questo uomo del Sud: dal reclutamento al giorno in cui venne liberato. La sua vicenda è comune a tantissimi altri italiani dei quali si sa davvero pochissimo. All'interno del campo di concentramento di Fayed, Peppino lottò per la sua sopravvivenza grazie alla sua astuzia, al suo profondo senso di solidarietà e alla sua passione per la musica. E gli spartiti scritti sulle cartoline militari e il flauto, suo amico agognato, lo condurranno verso una salvezza che sembrava inarrivabile.

Un libro necessario per gli appassionati di storia ma anche per le giovani generazioni che vogliono conoscere uno spaccato di vita vissuta, come precisa l'avvocata Francesca Pitrone , che ha firmato le conclusioni: «Racconti come i suoi – si legge nelle ultime battute e il pensiero corre al dramma della guerra in Ucraina – dovrebbero servire a ricordare, o forse ad imparare, che nulla ci è dovuto e che ogni singolo aspetto della vita, anche quello più piccolo, è una concessione del destino, qualunque sia la connotazione spirituale si voglia dare al termine. La Storia insegna principalmente questo: i fatti umani si ripetono con ciclicità, le dinamiche – a ben ragionare – rimangono sempre le stesse. Un popolo ritiene di essere superiore ad un altro e cerca di annientarlo, al meglio di soggiogarlo. È la brama di potere che spinge alla guerra, non ci sono altre motivazioni reali. Nel mezzo, i poveri uomini da sacrificare».

Peppino tornò a casa nel 1946. Era luglio. La guerra era finita da un pezzo ma l'Italia, nel caos generale della ricostruzione e del post fascismo, pensò “che quel militare avrebbe potuto rimescolare il destino del referendum del 2 giugno del 1946” , come rimarca lo scrittore, votando per la monarchia. Ma probabilmente lui avrebbe voluto solo riabbracciare la sua famiglia, come traspare nelle sue lettere e rallegrare i suoi compaesani con la sua musica. Cosa che ha fatto per tutta la sua vita. Morendo nel 2004 a Sant'Agata di Militello e non sapendo che uno storico avrebbe tirato fuori la sua esistenza. Quella di un “fante per caso” che ha trovato consolazione nella musica.

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