Un Parco archeologico “dimenticato”, che potrebbe diventare un formidabile polo turistico-culturale di Messina. Carmelo Micalizzi, medico e noto cultore di storia patria, ha studiato a fondo l'argomento. «Una sorgente di acque sulfuree, calde in alcune stagioni dell'anno, scaturiva dalle pendici collinari della contrada Ritiro sulla riva sinistra del torrente San Michele lì dove confluisce nel torrente Scala-Badiazza formando il torrente Giostra - inizia la sua narrazione -. L'area della polla, oggi inaridita o forse nascosta in un percorso carsico argilloso, identifica un sito archeologico “a cielo aperto” nel tratto iniziale della pista per Portella San Rizzo, un percorso obbligato fino al terzo decennio del XIX secolo quando venne tracciata la strada carrozzabile “provinciale” per il litorale tirrenico. Un'area di riguardo per i ruderi di antiche fondazioni monastiche: il protoconvento, nel 1238, dell'Ordine del Carmelo in occidente e, nel 1425, il primo convento francescano in Sicilia. La memoria della sorgente è legata al ritrovamento di alcuni marmi e di un bassorilievo indizio di un ninfeo d'epoca classica. I riferimenti alla vena sono sparsi, tra XVII e XX secolo, in autorevoli testi. La notizia più remota giunge da Placido Reina autore “Delle notizie istoriche della Città di Messina” (1658). Vi si descrive la presenza, presso la chiesa di Santa Maria di Gesù, di una contrada chiamata “Bagnicelli” in cui, ancora ai suoi tempi, era possibile vedere le vestigia di un'architettura d'epoca classica, forse un ninfeo con molti sedili uguali l'uno accanto all'altro murati in cerchio ciascuno di essi come in una nicchia presso il quale scorrevano delle acque. L'argomento è ripreso dallo storico olandese Johann G. Graevius nella monumentale opera “Thesaurus antiquitatum ed historiarum Siciliae” (1723), e da Antonino Mongitore autore “Della Sicilia Ricercata nelle cose più memorabili” (1743). Nella “Guida per la Città di Messina” (1841) Giuseppe Grosso Cacopardo scriveva che in un fondo attiguo al convento di Santa Maria di Gesù si vedono tuttora i ruderi d'un antico edificio che serviva di bagno pubblico a causa delle acque termali. Nel 1897 Gaetano La Corte Cailler in un saggio dedicato al convento di S. Maria di Gesù superiore, ricordava come ai suoi tempi fossero ancora visibili avanzi delle antiche terme, delle mura che per un vasto spazio del terreno costituivano l'edifizi e di un serbatoio in cui si immettevano tre acquedotti. Lo storico spiegava che il marmo fu rinvenuto presso un ingresso sotterrato e che i ruderi furono completamente sepolti dall'alluvione del 1831. Nel 2012 l'architetto Filippo Imbesi ha reso nota la presenza, sul prospetto della cappella di proprietà della famiglia Picardi De Gregorio a Barcellona Pozzo di Gotto, di un marmo recante un importante iscrizione: “Aquae S. Mariae de Iesu. Ex act (Is) not (Arii) Antony Mangianti An(nus) 1476”. Il reperto, proveniente dall'area del convento e legato alla memoria delle antiche terme, venne rimosso dai proprietari forse dopo le disastrose alluvioni del 1855 o del 1863. Ė recente la richiesta avanzata dallo studioso Pietro Giacopello al Direttore del MuMe, Orazio Micali, riguardo al bassorilievo, di una ricerca nei depositi del Museo regionale nella ipotesi che il marmo possa essere lì custodito. Il tema dell'acqua, nell'accezione del suo utilizzo per l'igiene e la cura, segna da secoli la contrada Ritiro. È probabile che i Frati di Santa Maria di Gesù, i quali praticavano i riti funerari nel perimetro cimiteriale, abbiano utilizzato i ruderi dell'antico ninfeo. Riguardo Santa Maria di Gesù di Ritiro, un'area libera da vincoli prediali e da particolari ostacoli burocratici, è necessario che si proceda con saggi di scavo, allargati pure ai giardini attigui e alle pendici collinari, perché si porti alla luce, con le parole usate da La Corte Cailler, quel rimanente sepolto che potrebbe rinvenirsi a poco più di un metro sotto le coltivazioni del fondo. La contrada è stata drammaticamente coinvolta in numerose alluvioni - memorabili, nel XIX secolo, quelle del 1831, 1855, 1863 e 1894 - causate dal secolare disboscamento della vegetazione autoctona delle pendici peloritane e dall'incuria nella manutenzione dell'alveo dei torrenti. Ci si chiede cosa potrebbe riservare, rileggendo il passo di Placido Reina, un'indagine archeologica sui conventi interrati. Paradigmatico per il clamore suscitato in città, è il ritrovamento, nel 1897, della statua marmorea della Madonna con Bambino, attribuita ad Antonello Gagini, dispersa nell'alluvione del 1863. Finalità dello scavo - conclude Micalizzi - è comprendere il palinsesto architettonico delle tre chiese degli Osservanti di Messina, l'individuazione delle falde freatiche con odore di zolfo, delle tracce delle terme e del ninfeo: fondamenta, condutture, pozzi, camminamenti, frammenti dei marmi che decoravano in origine l'edificio per secoli sede di un culto delle Ninfe e, dal XII secolo, del culto francescano».