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"Rigoletto", una notte di stelle. Il carisma di Plàcido Domingo e Leo Nucci a Taormina

Un Rigoletto grandi firme per una notte delle stelle senza precedenti al Teatro Antico di Taormina, titolo di punta del “Bellini in Fest” e inserito nel cartellone della Fondazione Taormina Arte. C’è Leo Nucci, tra pochi mesi ottuagenario, che il gobbo di Verdi ha portato in scena in tutto il mondo un mezzo migliaio di volte abbondante.

E c’è Placido Domingo (classe 1941), nell’olimpo dei tenori più grandi di sempre, poi anche baritono e direttore, in tal ultima veste sul podio dell’Orchestra del Teatro Bellini di Catania.

Serata magica e irripetibile, premiata da una cavea gremita nel limiti attuali della capienza possibile. Di Nucci, che di quest’edizione firma pure una essenziale ed efficace regia, c’è davvero poco da aggiungere a quanto si conosce, e che quasi sempre ruota intorno a un mai troppo abusato, nel caso di specie, riferimento al soprannaturale.

Nulla meno che miracolosa è infatti l’adesione, psicologica prima ancora che scenica, a un personaggio che più di ogni altro nella storia dell’opera “chiede” a un baritono spinto nel suo percorrere ogni registro emotivo, dal comico al tragico passando per il lirismo più accentuato, con quel che ne consegue in termini di difficoltà vocali ed energie da spendere sul palco.

La voce, che il tempo ha solo intaccato negli armonici lasciandone integro il nucleo, mantiene perfettamente intatto (in aggiunta a tutte le note della parte, originarie e interpolate che siano, cosa null’affatto scontata in artisti anche molto meno anziani) quel che fior di baritoni giovani neppure si sognano: la nobiltà dell’accento e il senso innato dell’oratoria verdiana, in pratica cuore ed essenza del canto lirico italiano. Da qui la scansione livida del “Pari siamo”, lo sbalorditivo controllo del fiato nel “Cortigiani vil razza dannata”, ma anche il semplice fremito conferito allo stralunato interrogativo “un ladro?”, per non parlare dell’ormai iconico “Sì vendetta tremenda vendetta”, naturalmente bissato a furor di popolo.

Ed è una lezione, quella di Nucci, che rinnova se stessa anche al confronto con i colleghi, pure blasonati. Il tenore Stefan Pop, appena 34enne, blasonato lo è certamente e non si può neppure dire che canti male, ma il suo Duca di Mantova probabilmente soffre il caldo torrido, si arrampica sulle note, maramaldeggia con gli accenti, se la cava col mestiere, e nell’arduissima “Parmi veder le lagrime” prende tanti più fiati del dovuto, e infatti platealmente ringrazia il maestro Domingo, che purtroppo non canta ma sta sul podio.

Molto meglio la giovane e brava palermitana Federica Guida, che è una Gilda soprano leggero come prescritto (con un lirico la parte guadagna tanto in ventaglio di possibilità espressive) ma lo è con i fiocchi: dopo l’incontro col suo seduttore si spoglia del severo abito verginale, scopre braccia e collo, e il vaneggiamento amoroso di “Caro nome” riesce a uscire dal trito cliché da bambolina spara-acuti, e vivaddio per una volta trasmutarsi anche in sano ancorché delirante anelito sensuale. E nel “lassù in cielo vicino alla madre” del finale la Guida non sfigura al cospetto dello stralunato deliquio di Nucci, et de hoc satis.

Ottime le parti di fianco – la seducente Maddalena di Anastasia Boldyreva e l’aitante (e tonante) Sparafucile di Antonio Di Matteo – come pure i comprimari Maria Russo (Giovanna), Alessandro Busi (Monterone), Dario Giorgelè (Marullo), Dave Monaco (Borsa), Claudio Levantino (Conte di Ceprano) e Fulvia Mastrosimone (il paggio). I cortigiani impersonati dagli uomini del Coro del Teatro Massimo Bellini sono curiosamente abbigliati come il Consiglio dei Dieci della Venezia dei dogi (da Verdi a Verdi: riciclati da una vecchia edizione dei Due Foscari? chissà) ma battono tutti in eleganza, ultimo in classifica proprio quello che dovrebbe essere più elegante di tutti, il Duca di Mantova. I costumi erano comunque firmati da Artemio Cabassi, le scene da Carlo Centolavigna, le coreografie da Silvana Lo Giudice.

Resta Domingo. Che è appunto Domingo, un’artista di dimensioni e passato talmente smisurati e magnetici da scommettere quasi che molti occhi al Teatro Antico rimangano fissi su di lui per tutto il tempo. Dirige benissimo la classica opera sotto le stelle, sostenendo a spada tratta le voci, spianando i contrasti, esasperando i fragori. Gratitudine e lode anche a lui, per questa notte di stelle. Stasera l’unica replica.

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