Un primo obiettivo l’abbiamo raggiunto. Dopo l’articolo nel quale l’architetto barcellonese Augusto Mirabile descriveva la sua ipotesi sulla presenza di un teatro greco-romano nella collina sottostante il santuario di Cristo Re, abbiamo la conferma che tra gli abitanti della città dello Stretto non si è mai spento l’interesse per un passato “cancellato” più dalla cronica incuria delle istituzioni che dalle catastrofi naturali. Nella piazza virtuale dei social molti hanno voluto commentare, contestare o condividere il contenuto del nostro post su Facebook, a cominciare da chi, come l’architetto Nino Principato, da decenni ricostruisce con passione aspetti poco noti della storia di Messina attraverso le testimonianze e i ritrovamenti disseminati sul territorio.
L’ipotesi del teatro greco a Montepiselli
Principato, in particolare, nel controbattere la teoria di Mirabile, ricorda che nell’aprile-maggio 1969 e nel settembre-novembre 1971 lo storico Franz Riccobono e i componenti del “Circolo Archeologico Codreanu” rinvennero all’inizio della via Noviziato-Casazza una cisterna “ricca di raffinati reperti con tipi ceramici databili tra il IV e il I sec. a. C.: tra questi c’era pure una statuetta raffigurante un papposileno, satiro anziano e personaggio tipico di alcune rappresentazioni greche la cui presenza in aree di scavo è stata sempre indizio di un vicino teatro”.
“Nei tratti sicuri incisi nell'argilla – si legge in un articolo di Riccobono pubblicato sulla Gazzetta del Sud del 2 ottobre 1971 - si riconosce l'espressione cara alla musa Talia cui si ispiravano gli artisti della commedia. Questo richiamo al Teatro dà particolare interesse al ritrovamento della statuetta in quanto ci propone il problema della localizzazione topografica dell'antico teatro di Messina. Perché è indubbio che in età classica esistette un teatro, ricordato del resto da vari autori tra cui Cicerone”. “Un esame della struttura geologica delle colline circostanti la breve fascia costiera dello Stretto – sosteneva ancora lo storico - fa capire che la sola zona dove era possibile costruire il teatro dovette essere, a nostro parere, la parte più bassa ed avanzata della collina di Montepiselli. L’affiorante costone di scisto cristallino che cinge le falde di questa collina, poteva infatti costituire la base su cui scavare la cavea del teatro, mentre il superbo scorcio della zona falcata del porto, l'azzurro fiume dello Stretto, ed il bruno massiccio dell’Aspromonte potevano ben rappresentare la scena dell'antico teatro greco di Messina”.
Una supposizione suffragata anche dalla presenza di “mattonacci di modulo greco e grandi blocchi di calcare squadrato riutilizzati nei vecchi muri della zona”.
Messina e la scarsa attenzione all’archeologia
A distanza di mezzo secolo da quei ritrovamenti, Franz Riccobono, pur sottolineando che non ci sono elementi certi, ma soltanto “indizi importanti e incontrovertibili”, rileva amaramente come non sia mai stata avviata una campagna di scavi in quell’area, o altrove, per verificare l’esistenza dell’arena ellenistica. Inoltre, “dopo il ritrovamento - racconta l’autore della scoperta - consegnai la statuetta al Museo Regionale di Messina ma, da quanto mi risulta, non è mai stata esposta nella sezione archeologica come tante altre cose da me date in custodia”.
Il dovere della memoria: l’auspicio di un Museo della Città
Da circa vent’anni Riccobono, è fra i promotori del progetto “Museo della Città”, una struttura che raccolga a Messina “ogni peculiarità relativa al suo territorio, alla sua storia, alle sue tradizioni, alla sua memoria, anche in considerazione delle travagliate vicende che ne hanno segnato l'evoluzione”. L’area espositiva multidisciplinare “consentirebbe ai messinesi e a quanti visitano la città, di ripercorrere le vicende naturali, la paleontologia, lo sviluppo dell'abitato e di quanto ha caratterizzato nei secoli la vita del nostro insediamento”.
Nel 2006, l’amministrazione comunale dell’epoca aveva nominato un “gruppo di studio” affinché si gettassero le basi per un allestimento a Castel Gonzaga. Una soluzione che consentirebbe, fra gli ampi spazi interni ed esterni della fortezza cinquecentesca, il recupero dei materiali lapidei oggi depositati al Museo regionale ma non fruibili dal pubblico. “Purtroppo, come spesso accade - conclude sommessamente Riccobono - le dichiarazioni d’intenti sono molto suggestive, ma rimangono tali”.
L’altra ipotesi: il teatro greco nella collina di Cristo Re
L’idea avanzata da Mirabile, che l’antica arena ellenica potesse trovarsi nell’area sottostante il santuario di Cristo Re, è esclusa categoricamente da Principato: “L’affermazione che il teatro dovesse essere sito nelle vicinanze di un torrente ‘nel quale far confluire gli scoli delle acque usate dentro l’impianto scenico’ (in quel caso il Boccetta, ndr) è contraddetta ad esempio dalla struttura di Tyndaris, vicino alla quale non c’è né un corso d’acqua, né un’altra fonte di approvvigionamento”. Inoltre, Principato respinge l’ipotesi che nel “Cristo sorretto da tre Angeli” di Antonello da Messina si possa riconoscere un frammento di muro adiacente al torrente Boccetta e riconducibile al teatro greco: “Non è vero che Antonello eseguiva con grande precisione i paesaggi che facevano da sfondo alle sue opere. Difatti adattava i paesaggi alle esigenze compositive e spaziali e nel dipinto citato cambia, ad esempio, l’orientamento delle absidi. Le mura, le pietre, la nicchia, il cunicolo ancora oggi visibili cui si riferisce l’architetto Mirabile – conclude Principato - non hanno nulla a che vedere con il teatro, sono gli avanzi superstiti della chiesa e monastero di San Paolo”.
Dello stesso parere Franz Riccobono, il quale esclude anche tecnicamente l’ipotesi: “Si chiamava cavea – afferma lo storico messinese – proprio perché lo spazio in cui si costruiva era scavato nella roccia, mentre a Cristo Re la collina è sabbiosa e, mancando un substrato roccioso, non ha la consistenza per essere autoportante”. Inoltre, a proposito dei ritrovamenti visibili, Riccobono ricorda che “a Messina la stratificazione archeologica raggiunge profondità di diversi metri, quindi è impossibile pensare che ci siano quei reperti in superficie”.
La replica di Augusto Mirabile
Mirabile replica con una citazione in latino: “Insuper fundamenta lapideis et marmoreis copiis gradationes ab substructione fieri debent” (Sopra le fondamenta si costruiranno poi le gradinate in pietra o in marmo). “Questa è l’affermazione di Vitruvio – spiega l’architetto barcellonese - riguardo alla realizzazione di un teatro su un terreno sabbioso. A parte ciò, esprimo davvero molto entusiasmo nell’essere attore di un dibattito che spero possa concludersi nel ritrovamento del teatro antico di Messina. Sarebbe il ventunesimo teatro che andrei a misurare e proporzionare secondo la sezione aurea per capire come gli antichi si siano confrontati con la figura che definivano ‘infida’, ossia il cerchio”.
“Posso solo augurare – conclude Mirabile - che le ipotesi e le ricerche scientifiche non siano vanificate da silenzi che neghino alle società future la conoscenza di questo monumento; mi auguro inoltre che l’arco romano presente nella torre medievale (sull’antico castello Roccaguelfonia che oggi ospita il Sacrario di Cristo Re, ndr) così come i gradini della stessa, i blocchi riutilizzati nelle absidi e tutte le altre indicazioni che ho fornito possano essere ancora spunto di riflessione”.
La speranza riposta nelle nuove tecnologie
Come ogni città, anche Messina ha un suo “codice genetico”. Ma l’identità culturale del capoluogo peloritano, travolta nei secoli dai capricci rovinosi della natura, è eclissata nella memoria. Sappiamo però che quel Dna non si è volatilizzato, e continua a vivere, immobile, sotto diversi metri di stratificazioni archeologiche.
Per questo, pur nelle evidenti divergenze sulla collocazione del teatro greco, un punto sembra mettere d’accordo Mirabile, Riccobono, Principato e chiunque abbia a cuore il nostro patrimonio storico e architettonico: oggi, grazie alle nuove tecnologie, per trovare gli antichi reperti non è più necessario condurre straordinarie campagne di scavi. Strumenti spesso a costi molto bassi, dai droni ai georadar, dai magnetometri ai lidar, permettono agli archeologi di conoscere ciò che è presente nel sottosuolo, senza bisogno di avviare necessariamente esplorazioni sotterranee.
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