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Nella Tirante e la "gabbia" della normalità

“Fidelity Card”, scritto e interpretato da Nella Tirante, con la regia di Roberto Zorn Bonaventura, sarà in scena lunedì 30 luglio (ore 20,45) nella rassegna “Il Cortile – Teatro Festival”, terzo spettacolo di una manifestazione che finora ha fatto registrare sempre il tutto esaurito e ha perfino reso necessaria una replica speciale per “Camurria” con Gaspare Balsamo. Insieme con la Tirante sarà in scena Gianmarco Arcadipane; scene di Cinzia Muscolino. “Fidelity Card” ha vinto il premio Teatri del Sacro 2017.

Un ragazzo, una madre, la notte, un balcone: si tratta di una riflessione sulla disabilità, o meglio “specialità”, sulla fede, sull’accettazione e sul rapporto madre-figlio. D. è un ragazzo speciale: ha problemi motori, è considerato un personaggio bizzarro in paese, conosce tutti ed è conosciuto da tutti. Le sere d’estate D. trascorre il tempo sul balcone di casa sua, affacciato sulla strada principale del paese, semideserta d‘estate: infatti è il “lungomare” il luogo deputato al passeggio estivo, così D. attende chi passa, trova argomenti per intrattenerlo: un saluto e via al prossimo passante. Osserva da lassù un mondo perfetto che gli sembra irraggiungibile, quel “lungomare” dove tutti vanno la sera, quella vita “normale” che desidererebbe anche per sé. La madre, in camera da letto al piano di sotto, non dorme, è stanca ma non dorme, prega, racconta in modo surreale il suo percorso di fede legato a nascita e malattia del figlio al piano di sopra: attende il Miracolo per lui, come una sorta di premio per la sua “fidelity card”.

Scrive Roberto Zorn Bonaventura nelle note di regia: «Non si può parlare di una realtà così intima e difficile senza conoscerne le conseguenze, i drammi. Nel mettere in scena questo lavoro (che innanzi tutto tratta la disabilità), abbiamo cercato un equilibrio, le gioie. Per questo abbiamo lavorato sulla fatica, quella dell'attore, quella che ti porta a restituire allo spettatore una verità e a renderla possibile. Il testo ci ha subito aperto margini di lavoro e di libertà interessanti, mettendo gli attori nelle condizioni di cercare all'interno di esso attitudini personali, lavorando a lungo sul corpo. Con la scenografa abbiamo pensato a una “casetta” che in qualche modo costringesse a stare chiuso, una sorta di gabbia dalla quale sembra difficile uscire, nella quale resti imprigionato con tutte le paure e le convinzioni di una vita. Paure e convinzioni che sono quelle di una madre e di un figlio, un rapporto che in questo spettacolo si spinge oltre la responsabilità di essere genitore, di saper lasciare andare e si spinge oltre la capacità di essere figlio e di crescere, accettando. In tutto questo la fede, che c'è e si sente, ma mai deve essere vuota e fine a se stessa. La fede, il più delle volte, dovremmo averla nella persona che abbiamo davanti, è lì che forse ci aspetta Dio».

Il Festival, di cui è direttore artistico lo stesso Bonaventura con la collaborazione di Giuseppe Giamboi, proseguirà lunedì 6 agosto con una prima assoluta: “Lo scoglio del Mannaro” di e con Simone Corso, collaborazione artistica di Adriana Mangano.

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