Il porto di Tremestieri è destinato a rimanere nelle secche ancora per qualche tempo. Quanto? Al massimo altri tre mesi. Era il maggio del 2022 quando gli operai della Nuova Coedmar salutavano Messina e chiudevano a doppia mandata un cantiere che aveva mosso solo i suoi primi passi. Un anno dopo c’è soprattutto lavoro per avvocati e consulenti. Quelli che stanno seguendo la situazione economico-finanziaria dell’azienda di Chioggia e che stanno trattando affinché ci sia un passaggio di testimone che potrebbe essere essenziale per tutti, per la Nuova Coedmar e per Messina. Ad inizio marzo c’è stata un’udienza al Tribunale di Venezia per discutere del piano di risanamento aziendale, presentato per evitare il fallimento. Il cantiere di Tremestieri ha una parte tutt’altro che secondaria in questo procedimento perché rappresenta l’appalto più importante che ha in corso l’impresa. Il Comune di Messina a Venezia, è stata rappresentata dall’ avvocato Raffaele Tommasini, perché tra l’altro la Coedmar aveva chiesto di «inibire» il Comune dalla risoluzione del contratto. Il giudice aveva dato un mese di tempo all’azienda di Chioggia per decidere se provare in termini concreti la cessione del ramo d’azienda siciliano e quindi l’appalto del nuovo porto di Tremestieri, oppure chiudere la vicenda e cercare altre soluzioni giudiziarie. Quella risposta è arrivata in questi giorni e la Nuova Coedmar ha accettato di darsi una speranza con la cessione del ramo d’azienda. Le sono stati concessi 120 giorni ( a partite dal giorno dell’udienza) per arrivare ad un accordo. Se non riuscisse a passare la mano, al di là del nebuloso futuro che aspetterebbe la Nuova Coedmar, ci sarebbero gli estremi per una rescissione automatica dal contratto. Un’opera che però sembra far gola a molti se è vero che i contatti si sono intensificati in queste settimane. Ci sono stati sopralluoghi al cantiere da parte di rappresentanti di aziende che hanno dimostrato interesse ad acquisire in corsa il contratto dalla società veneta con cui dovranno trattare. La Ricciardello Costruzioni è stata la prima a bussare e non ha mollato la presa. Ma ci sono contatti anche con il consorzio Medil, lo stesso che sta finendo la nuova Don Blasco, e, pare, anche con We Build, l’azienda del Ponte. Il Comune, almeno fino ai primi di luglio, quando scadrà il mandato del tribunale di Venezia, è impotente. Può solo sperare che vada in porto il passaggio per non essere costretto a ricominciare tutto daccapo con una dilatazione dei tempi che si misurerebbe in anni. Quello che può cominciare a fare, e se ne stanno occupando il sindaco Basile e il vice Mondello, è tessere le fila per recuperare quello che manca, in termini economici, per la realizzazione dell’opera. Non bastano più, infatti i 62 milioni con cui venne aggiudicato l’appalto nel 2017, al culmine di una vicenda giudiziaria (anche lì) sull’aggiudicazione. Ma il valore dell’appalto, è quello del 2009, quando il progetto fu varato e tre anni dopo messo a gara. Oggi con l’impennata dei prezzi, calcolano a Palazzo Zanca servono 35 milioni in più, cioè il 60% oltre al prezzo base. Interlocuzioni sono in corso con il Ministero per recuperare una cifra tutt’altro che secondaria.