Ha resistito a due terremoti, quello del 1783 e quello del 1908. Ha resistito ai bombardamenti della seconda guerra mondiale. Ma non resisterà ancora a lungo all’incuria e al degrado. Il borgo del Tirone è forse, insieme alla zona falcata, l’emblema dei “vorrei ma non posso” (o “potrei ma non voglio”?) di una città che non a caso, dopo decenni, si ritrova ancora aggrappata all’eterna promessa del Ponte. Un borgo che in qualsiasi altra città sarebbe il punto d’arrivo privilegiato di un percorso turistico e che, invece, è costantemente trasformata in una sorta di discarica in pieno centro.
Le segnalazioni non si contano, i cittadini che abitano nei pressi della storica scalinata e della collinetta ai piedi di viale Italia e di via Cadorna sono esasperati, anche perché a pochi metri dalle loro abitazioni accade di tutto. Cataste di rifiuti abbandonati, vecchie baracche (con tetti in lamiera e chissà cos’altro) occupate da chi non si fa problemi, ad esempio, a distruggere un’auto abbandonata in zona per farne una sorta di deposito. Eppure è lo stesso borgo che ospita testimonianze ottocentesche come le Case Durante, la scalinata Sergi del XVIII secolo, i resti dell’edificio del Terzo Ordine di San Francesco, proprietario di una vastissima porzione del Tirone (circa 15 mila metri quadrati), che però anni fa comunicò chiaramente al Comune che sarebbe intervenuto nuovamente solo di fronte a progetti definiti e definitivi di Palazzo Zanca. Ed è qui il problema: cosa vuol fare del Tirone il Comune di Messina?
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