Entrando in quel rudere si sente ancora in maniera penetrante l’odore pungente tipico degli idrocarburi. Eppure sono passati quasi 25 anni da quando lì dentro venivano lavorati, come in un’enorme impastatrice i fanghi della lavorazione della Smeb. Quando l’odore accende i ricordi anche più di quanto non possa fare la vista di certi scempi. Quelli perpetrati ai danni del luogo caratterizzante la geografia e il mito di Messina. Quella zona falcata, passata dall’essere, 2500 anni fa, la culla della città, a luogo della vergogna dove smaltire i peggiori rifiuti. E adesso, questa generazione, deve rimettere le cose al loro posto. Restituire alla natura la possibilità di affascinare tutti coloro che scopriranno che quello non deve essere più il pozzo nero di Messina. E da qualche giorno in quei 20 ettari della zona falcata, fra la Smeb e la Real Cittadella si aggirano i ghost busters. Sono vestiti come degli acchiappa fantasmi, ma sono fior di tecnici messinesi e reggini, che devono avviare il primo step della bonifica dell’intera area. Ma facciamo il necessario passo indietro per capire cosa stia accadendo da quelle parti. Dopo l’attività di caratterizzazione che l’autorità di sistema ha avviato con l’Università e che ha fatto scoprire esattamente cosa ci sia nel sottosuolo della grande area, la Regione ha approvato l’analisi dei rischi che è propedeutica alla bonifica del sito. Viene però prevista una doppia attività. Quella della eliminazione di tutte le fonti di contaminazione diretta e successivamente la verifica dei residui di inquinanti nel terreno e la loro eliminazione. Leggi l'articolo completo sull'edizione cartacea di Gazzetta del Sud - Messina