La gioia per la nascita di una figlia, il desiderio di starle accanto in ogni momento, il mettersi in secondo piano, trascurando la propria salute. Quando Desirée ha dato alla luce la sua piccola Giulia c'erano già delle avvisaglie di quel dramma che stava per piombare nella sua vita. Un inizio di gestosi, molta stanchezza, dolori inspiegabili... E poi, coi mesi, il cibo che diventava sempre più amaro, fino a farle perdere 20 kg. A 33 anni, nel novembre del 2021, non riusciva più a muovere la gamba destra. “E' una sciatica” le dissero. E allora via con gli antinfiammatori, ma il dolore non andava via e, a quello, si è aggiunto il vomito, verde. Esami su esami, cure su cure, niente che riuscisse a sedare quel malessere che diventava sempre più invalidante. Quasi alla vigilia di Capodanno Desirée non ce l'ha fatta più, stava così male da non riuscire a reggersi in piedi. La corsa al pronto soccorso e i primi risultati: creatinina alterata, azotemia molto alta, emoglobina al minimo. Solo una trasfusione poteva salvarla. “Forse – avevano detto i medici ai suoi genitori – non riesce a superare la notte”. Un altro giorno in più senza capire qual era la causa di tutto quello che le stava accadendo avrebbe potuto essere fatale. Trasferita nel reparto di Nefrologia del Policlinico viene sottoposta d'urgenza a dialisi per un'insufficienza renale gravissima. “Ancora oggi – racconta la ragazza – non si spiegano neanche loro come faccia ad essere viva”. “Loro” sono quegli angeli che l'hanno strappata al peggio. “Li ringrazierò sempre, il professor Domenico Santoro, la dottoressa Fortunata Zirino e tutta l'equipe di Nefrologia del Policlinico, così come la dottoressa Barbara Buscemi e Antonella Lipari dell'Ismett di Palermo, i chirurghi che hanno operato me e mio padre e tutti gli infermieri, loro sono stati i miei angeli”. Davanti a Desirèe, in quel momento, si prospettava un calvario. E, invece, qualcuno le ha aperto un'altra strada. “Ricordo – spiega il professor Domenico Santoro, Direttore dell'Unità di Nefrologia e Dialisi del “G. Martino” – che sin dalla mia prima visita a Desirée, quando avevamo evidenziato che la sua malattia al rene era irreversibile, le ho spiegato che poteva scegliere tre opzioni di sostituzione della funzione renale, ma caldeggiando sin da subito con lei quella della donazione da vivente”. Un'idea che, però, Desirée non ha inizialmente accettato. “Per me – racconta – non è stato affatto facile, all'inizio ho pensato che fosse meglio morire, poi mia figlia mi ha dato la forza... Pensare che avrei potuto non vederla crescere è stata quella molla che mi ha spinto a provare, a crederci”. Così, prima di mettersi in lista per un trapianto da cadavere, i suoi parenti, il marito Giuseppe, la mamma Maria, il fratello Matteo e il papà Domenico sono stati sottoposti a uno screening di compatibilità e, finalmente, una bella notizia: il rene di papà Domenico era compatibile. Durante gli esami pre-donazione, davanti agli occhi della famiglia si materializza, però, un dramma. La tac a cui si è sottoposto Domenico rivela un ispessimento del colon sospetto. I medici suggeriscono una colonscopia, ma il papà di Desirée sta bene e, in un primo momento, si rifiuta di farla. Senza quell'esame, però, non si poteva procedere con la donazione e, allora, Domenico si convince, ma il responso è terribile e getta tutti nel più totale sconforto. Il dramma è nel dramma: Domenico ha un carcinoma e, al 99%, non può più neanche donare il rene alla figlia. All'Ismett, decidono di prendersi carico dell’intervento chirurgico ed evidenziano che fortunatamente si trattava di un tumore in fase ancora iniziale definendolo “in situ”. Se Domenico però non avesse imboccato la strada della donazione, probabilmente, l'avrebbe scoperto troppo tardi. E così quell'1% di possibilità di eseguire il trapianto diventa realtà perché al papà di Desirée basta un'operazione per guarire e salvare la vita della figlia: senza neanche bisogno di chemioterapia, ad agosto Domenico era di nuovo idoneo a donarle il rene. L'operazione viene fissata dopo circa un mese e il 20 settembre la ragazza ha ricevuto dal papà un “regalo” che l’ha fatta tornare a vivere e che, indirettamente, ha salvato anche la vita del padre. “Sono stata dimessa dopo una settimana e oggi sto bene – racconta Desirée– faccio spesso dei controlli a Palermo, ma la mia vita è completamente cambiata... E' vero non è stato facile, ne' fisicamente, ne' mentalmente, perché accettare un trapianto è più difficile di quanto si pensi, non posso stare molto a contatto con le persone, non posso mangiare determinati alimenti, ma adesso non sono costretta alla dialisi tre volte alla settimana e sono tornata a vivere di nuovo... Adesso siamo sereni, ma per la mia famiglia è stato un inferno, prima la mia batosta, poi la malattia di papà, il fatto che non poteva più donare, l'intervento di asportazione del carcinoma che non è stato una passeggiata, è stato il trapianto che, in realtà, ci ha salvato tutti”. A “tenere in piedi” una famiglia che si è trovata a un passo dal baratro è stata anche mamma Maria che soffriva in silenzio, senza mai far notare la sua debolezza. “Lei – continua Desirèe - è stata il pilastro che non ci ha fatto mai cadere, che non ci ha fatto mai mollare, se non ci fosse stata lei, con la sua fede, non so come avrei fatto...”. Perchè una storia del genere è stata costellata di momenti in cui ci si vorrebbe lasciar morire, eppure... “Guardavo mia figlia Giulia – racconta ancora Desirée - e ho avuto paura di non vederla crescere, mi sono aggrappata con tutte le mie forze a lei, tante volte ho pensato di dire basta, ma ho scoperto che affrontare un trapianto non è difficile, è molto più complicata la dialisi, quello che ci vuole è solo tanto coraggio”. “Dal momento che in Sicilia abbiamo un’alta opposizione alla donazione da cadavere, – spiega il professor Santoro – l’attesa per in pazienti in lista per questo tipo di donazione è lunga, per questo la donazione da vivente è l'unica chance per evitare anni di dialisi con tutte le complicanze che comporta. Chi dona un organo, tra l'altro, sarà sottoposto a uno screening sulla propria salute che, come è accaduto in questo caso, può svelare patologie non diagnosticate e potenzialmente letali. La donazione da vivente – conclude Santoro - non è soltanto gesto di altruismo, ma permette anche di effettuare degli esami che possono rivelarsi salvifici, con il ricevente che, talvolta, salva il donatore”.