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La mafia dei Pascoli: ecco tutte le confische (valore di 4 milioni di euro)

Quando i tre giudici sono usciti in quell’aula gremita come ai tempi del primo grande processo ai clan mafiosi tortoriciani degli anni ’90, erano passate da qualche minuto le undici di sera. Di rinvio in rinvio per l’orario fatidico della lettura del dispositivo (si era partiti alle 10.30, poi tutto è via via slittato fino alle 23). Anche quel processo fu seguito da tutta Italia, era il primo grande atto di ribellione di commercianti e cittadini al racket di Cosa nostra in una provincia tradizionalmente sonnolenta come quella di Messina.
Lunedì sera era calato un silenzio irreale già da qualche minuto per la febbrile attesa durata quasi una giornata intera di un epilogo storico, i cancellieri andavano e venivano da quella porta secondaria che porta alla segreteria, mentre i giudici limavano le ultime righe. A Patti faceva quasi freddo lunedì sera, e il presidente del tribunale Ugo Scavuzzo ha impiegato ben 57 minuti per leggere le 17 pagine di una sentenza spartiacque. Oltre sei secoli di carcere e un impero economico confiscato tra decine di imprese e milioni di euro.
La sentenza è quella del maxiprocesso Nebrodi, scaturito dall’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Messina che con i carabinieri e la Finanza ha puntato i riflettori sulla cosiddetta “mafia dei pascoli” e sul vasto sistema delle truffe in agricoltura con i fondi europei. Una sentenza che oggi, a mente fredda, visti i tempi praticamente notturni vissuti da tutti lunedì, è possibile analizzare da più punti di vista.

Mafiosi e “non mafiosi”

Prima di leggere i dettagli della sentenza c’è una questione da analizzare, che già lunedì sera ha fatto subito discutere tutti, magistrati e avvocati. I giudici cioé, rispetto all’impostazione accusatoria della Dda che vedeva coinvolti due gruppi mafiosi, quello dei Batanesi e quello cosiddetto “satellite” legato secondo l’accusa ai Bontempo Scavo, costituito dai tre nuclei familiari Faranda-Crascì-Craxì, hanno avuto una visione in parte differente.
Secondo la Dda infatti a monte di questa vicenda c’è stata una spartizione sistematica del territorio con accordi tra i Batanesi e i Bontempo Scavo. I primi sono un clan che, considerato sottogruppo negli anni ’80 e ’90 ha assunto una posizione sempre più di preminenza sui Nebrodi, anche per il tramonto criminale dei Galati Giordano. I secondi sono un clan storico che secondo la Dda è ancora pienamente attivo sul territorio, ed aveva secondo l’accusa in un certo senso delegato a quei tre nuclei familiari la gestione delle truffe. La lettura che hanno dato i giudici dei fatti è stata invece parzialmente diversa, sempre ragionando dal dispositivo della sentenza, sapremo molto di più con il deposito delle motivazioni tra qualche mese.
Secondo il tribunale cioé i canoni della “mafiosità” in questa vicenda ce li aveva solo il gruppo dei Batanesi, mentre l’associazione satellite Faranda-Crascì-Craxì non avrebbe avuto un vincolo reale con il gruppo mafioso dei Bontempo Scavo. Per questo per gli appartenenti dei tre gruppi familiari i giudici hanno escluso la sussistenza dell’associazione mafiosa ed hanno considerato invece un’associazione a delinquere semplice.
Con un risultato, in un caso, che può sembrare singolare: Aurelio Salvatore Faranda, uno dei capi dell’associazione a delinquere cosiddetta “semplice”, è stato condannato a ben 30 anni, ovvero la pena più alta decisa in assoluto e una pena più dura anche degli appartenenti apicali del gruppo mafioso dei Batanesi.
La tesi della “non mafiosità” dei Faranda-Crascì-Craxì è stata una delle linee di difesa più forti e convinte da parte dei tanti avvocati impegnati nel maxiprocesso, che lunedì sera a caldo hanno sottolineato proprio questo aspetto. Ma questa è una tesi che non ha soddisfatto la Procura, e ovviamente sarà uno dei punti centrali dell’atto di appello.
C’è poi da considerare il dato forte delle 90 condanne rispetto ai 101 imputati, quindi il quadro globale delle accuse per le truffe ha retto, e c’è poi una sentenza che per la prima volta - anche se in primo grado -, “certifica” che un’articolazione di Cosa nostra siciliana (i Batanesi), si è dedicata sistematicamente alle truffe agricole in danno dell’Unione Europea per milioni di euro.

I numeri

In tutto si tratta di 90 condanne per un totale di oltre 640 anni di carcere, con pene che vanno dai 2 ai 30 anni; e poi di 10 assoluzioni totali e una sola prescrizione totale (si tratta di Giovanni Bontempo). Tra le 90 condanne in soli due casi è stata concessa la pena sospesa per pene di 2 anni, poi ci sono da registrare 50 assoluzioni parziali per altrettanti imputati e 33 casi di prescrizioni parziali (in quest’ultimo blocco per l’esclusione dell’aggravante mafiosa).

Le pene più alte

La condanna più alta, 30 anni di reclusione, è stata decisa per Aurelio Salvatore Faranda, mentre 25 anni e 7 mesi sono stati previsti per Sebastiano Bontempo “biondinu”, 23 anni e 6 mesi per Sebastiano Conti Mica “belloccio”, 21 anni e 8 mesi per Vincenzo Galati Giordano “lupin”. Inoltre sono stati condannati Domenico Coci a 17 anni e 6 mesi e Giuseppe Costanzo Zammataro “carretteri” a 16 anni e 4 mesi. Condannati anche Pasqualino Agostino Ninone a 13 anni e 4 mesi, Calogero Barbagiovanni a 15 anni e 6 mesi, Sebastiano Craxì a 13 anni e 7 mesi, Antonia Strangio a 11 anni e 10 mesi. Chi sono i condannati? Se guardiamo alle “categorie” ci sono ovviamente gli appartenenti al clan dei Batanesi e all’associazione satellite Faranda-Crascì-Craxì per i quali non è stata riconosciuta l’aggravante mafiosa ma è stata qualificata l’associazione a delinquere semplice, i responsabili e gli operatori dei CAA (i Centri agricoli che raccoglievano le pratiche di finanziamento, tra loro c’è l’ex sindaco di Tortorici Emanuele Galati Sardo), e infine i percettori dei fondi comunitari.

Le confische

L’altra architrave della sentenza riguarda le confische, per le aziende e per i singoli imputati, siamo su una cifra di oltre 4 milioni di euro. Vediamo i dettagli. Sono 17 le aziende o imprese individuali confiscate: Bontempo Alessio, ditta individuale; L’Anghera; Giglio bianco, società agricola a r.l.s.; La Perla, società agricola a r.l.s.; Zaffiro, società agricola a r.l.s.; Monte Verde, società cooperativa agricola; Tassita, società cooperativa agricola; Galati Pricchia Daniele, ditta individuale; Nicolae Josif Marian; ditta individuale Costanzo Zammataro Valentina; Zootecnica di Costanzo Zammataro & C.S.S.; La Contessa, società agricola a r.l.s.; La Campagnola, società agricola a l.r.s.; Pruiti Elena, azienda agricola; La Quercia s.a.s. di Crascì Barbara & C.; L’Airone, società agricola a r.l.s.; Floridia Innocenzo, ditta individuale. I giudici hanno poi disposto la confisca di società e imprese, beni mobili e immobili riconducibili a Sebastiano Bontempo “biondinu”, Giuseppe Costanzo Zammataro “carretteri” e Vincenzo Galati Giordano “lupin”. Per tutte le altre aziende o imprese sequestrate in fase cautelare, in precedenza durante le indagini, i giudici hanno disposto il dissequestro e la restituzione agli aventi diritto.
Ci sono poi ben 56 provvedimenti di confisca di somme a singoli imputati (l’importo varia da 4mila a quasi mezzo milione di euro), anche per cifre molto cospicue. Qualche esempio: 80mila euro a Sebastiano Bontempo Scavo, 125mila euro a Rosario Coci, 121mila euro a Giuseppe Costanzo Zammataro “carretteri”, 152mila a Pietro Lombardo Facciale, 117mila euro a Emanuele Galati Sardo (l’ex sindaco di Tortorici), 230mila a Antonia Strangio, 191mila a Giovanni Vecchio, e ben 495mila - è la cifra più alta - a Rosario Attilio Lucio Crascì. Questo dà l’idea di quanto hanno intascato singolarmente i 56 “percettori abusivi” di contributi comunitari nell’arco di un vasto periodo, dal 2010 al 2017.

Le assoluzioni

Solo in dieci sono stati assolti totalmente, con le formule “per non aver commesso il fatto o “perché il fatto non sussiste”: Lucrezia Bontempo, Sebastiana Calà Campana, Andrea Caputo, Arturo Carcione, Rosa Maria Faranda, Innocenzo Floridia, Giuseppina Gliozzo, Alessandro Giuseppe Militello, Elisabetta Scinardo Tenghi e Salvatore Terranova.
Le parti civili Un altro aspetto fondamentale della sentenza sono i risarcimenti alle parti civili. Per l’unico e coraggioso imprenditore costituito in giudizio, Carmelo Gulino, affiancato in questa battaglia dal circuito antiracket nazionale “Rete per la Legalità”, i giudici lo hanno stabilito a carico di Sebastiano Bontempo “biondinu”, Giuseppe Costanzo Zammataro “carretteri” e Mario Gulino (è un quasi omonimo), l’entità sarà poi decisa in un processo civile. Risarcimenti, da decidere successivamente, sono stati accordati anche a enti e associazioni costituite in giudizio, ovvero le associazioni antiracket Addiopizzo-Messina e Libera, l’assessorato regionale al Territorio e Ambiente, il Comune di Tortorici, il Centro studi Pio La Torre e, naturalmente, l’Agea e il Parco dei Nebrodi.

Le parti civili

Un altro aspetto fondamentale della sentenza sono i risarcimenti alle parti civili. Per l’unico e coraggioso imprenditore costituito in giudizio, Carmelo Gulino, affiancato in questa battaglia dal circuito antiracket nazionale “Rete per la Legalità”, i giudici lo hanno stabilito a carico di Sebastiano Bontempo “biondinu”, Giuseppe Costanzo Zammataro “carretteri” e Mario Gulino (è un quasi omonimo), l’entità sarà poi decisa in un processo civile. Risarcimenti, da decidere successivamente, sono stati accordati anche a enti e associazioni costituite in giudizio, ovvero le associazioni antiracket Addiopizzo-Messina e Libera, l’assessorato regionale al Territorio e Ambiente, il Comune di Tortorici, il Centro studi Pio La Torre e, naturalmente, l’Agea e il Parco dei Nebrodi.

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