L'omicidio di Alì, si scava nel passato di Ravidà: 11 anni fa aveva sparato a un uomo proprio dove è stato trovato morto
Oggi a mezzogiorno. È l’orario dell’appuntamento giudiziario nell’ufficio del pm Giulia Falchi, al Palazzo di giustizia di Messina, per l’affidamento dell’incarico al medico legale Giovanni Andò, che effettuerà l’autopsia probabilmente già in mattinata. Perché ci sono ancora da capire tante cose sull’efferato omicidio del pastore 34enne Riccardo Ravidà, ritrovato intorno alle 23 di martedì nella sperduta contrada Ferrera, al confine tra Fiumedinisi e Alì Superiore, quasi completamente carbonizzato dentro la sua auto, una Toyota “Rav 4”, distrutta da un rogo, dopo che qualcuno gli aveva sparato alcuni colpi di fucile, visto che a terra i carabinieri del Ris hanno trovato tracce evidenti di alcune cartucce. Intanto l’inchiesta della Procura di Messina gestita dall’aggiunto Vito Di Giorgio e dal sostituto Giulia Falchi va avanti. I carabinieri stanno scavando nel passato di Ravidà, ma stanno anche cercando di ricostruire le sue ultime ore di vita sentendo soprattutto i familiari. Nel suo passato, il pastore-allevatore, che aveva alcuni interessi economici a Mandanici, aveva collezionato alcune macchie nere con la giustizia. È contrada Ferrera il nome che ricorre a distanza di undici anni da questo omicidio. Perché il 15 ottobre del 2011 proprio in questa landa isolata di montagna Riccardo Ravidà, allora 23enne, fu protagonista del tentato omicidio dell’operaio 36enne Gaetano Nucita. In quella stessa campagna, tra quegli stessi alberi e rovi. Cercò di ammazzarlo con un fucile calibro 12 caricato a pallettoni, e fece fuoco ben otto volte verso la vittima designata. Ravidà imbracciò il fucile e cominciò a far fuoco: il primo colpo andò a vuoto, mentre il secondo raggiunse Nucita nella parte bassa della schiena. Nonostante la ferita, l’operaio trovò riparo nell’abitacolo del furgone, si nascose sotto il volante, e poi fu trasportato alla guardia medica di Fiumedinisi dal nipote, che si trovava con lui. Ravidà continuò a sparare all’impazzata, ma fortunatamente colpì solo il furgone. Poi vagò per quasi quattro giorni tra le campagne che circondano Monte Scuderi, Fiumedinisi, Alì Superiore e Mandanici, prima di costituirsi a Messina. Per questo tentato omicidio Ravidà fu condannato ad una pena molto dura: oltre 8 anni.