Vessazioni ed estorsioni ai dipendenti, lavoro sommerso e manodopera irregolare. Così, secondo le accuse della Procura della Repubblica di Messina, la famiglia imprenditoriale Saglimbeni di Santa Teresa di Riva, titolare della Top Market (affiliata “Decò”), riusciva a "risparmiare" reinvestendo il denaro nell'acquisto di terreni. I Finanzieri del Comando provinciale di Messina, all’esito di complesse attività investigative, hanno dato esecuzione ad un provvedimento cautelare personale e reale disposto dal Tribunale di Messina su richiesta della locale Procura della Repubblica.
Agli arresti sono finiti Carmelo Saglimbeni 74 anni, Domenico Saglimbene 70 anni, Provvidenza Saglimbeni 49 anni e Carmen Saglimbeni 43 anni, figlie di Carmelo, accusati di associazione a delinquere finalizzata all’estorsione e all’autoriciclaggio. Per tutti e quattro il Gip Tiziana Leanza ha disposto gli arresti domiciliari. Il provvedimento cautelare odierno interviene nella fase delle indagini preliminari ed è basato su imputazioni provvisorie, che dovranno comunque trovare riscontro in dibattimento e nei successivi gradi di giudizio, nel rispetto, pertanto, della presunzione di innocenza che l’art. 27 della Costituzione garantisce ai cittadini fino a sentenza definitiva. In particolare, ai quattro soggetti destinatari della custodia cautelare, viene contestato di aver promosso e costituito una strutturata organizzazione criminale, dedita alla commissione di condotte estorsive in danno dei propri dipendenti.
Le indagini svolte, sviluppate dalle Fiamme Gialle della Compagnia di Taormina ai comandi del capitano Angelo Schillaci, si sono avvalse del fondamentale apporto dichiarativo dei lavoratori vessati dal gruppo tratto in arresto ed hanno documentato il sistematico ricorso a schemi di fittizio pagamento dei corretti emolumenti previsti dai Contratti Collettivi Nazionali: mensilmente, di contro, i lavoratori venivano obbligati alla restituzione - in contanti - di quota parte dello stipendio solo formalmente loro corrisposto.
Parimenti, approfittando del loro stato di bisogno, analoghi illegittimi comportamenti si documentavano con riferimento alla sistematica violazione della normativa relativa all'orario di lavoro ed ai riposi spettanti. L’attività d’indagine trova la sua genesi nella quotidiana attività di controllo economico del territorio esperito dalle Fiamme Gialle peloritane, soprattutto con riferimento alla piaga del sommerso di lavoro ed all’utilizzo di manodopera cd. in nero e/o irregolare.
La disamina approfondita della documentazione extracontabile rinvenuta – tra cui diversi inequivoci “pizzini”, agende e prospetti di calcolo – acquisita in sede di primo accesso all’azienda, permetteva di ipotizzare l’esistenza di una vera e propria struttura organizzata. Di qui, quindi, lo sviluppo dell’attività d’indagine, diretta dalla Procura della Repubblica di Messina e consistita in approfondimenti documentali ed intercettazioni telefoniche, che hanno chiarito come gli imprenditori, oggi tratti in arresto avessero fatto del “ricorso a minacce e soprusi” nei confronti dei lavoratori dipendenti, “un vero e proprio metodo di lavoro”. ù
Del resto, presupposto imprescindibile per l’avvio e la prosecuzione dei rapporti lavorativi risultava proprio l’accettazione, da parte dei dipendenti, di condizioni contrattuali palesemente squilibrate, “lasciando chiaramente intendere che ove non avessero accettato la proposta non sarebbero stati assunti ovvero che sarebbero stati licenziati”. La coerenza del quadro indiziario ha portato lo stesso Giudice del Tribunale di Messina a sottolineare come si trattasse di “un modus operandi consolidato, volto ad estorcere sistematicamente denaro ai lavoratori assunti e a imporre loro condizioni inique di lavoro al fine di conseguire ingiusti profitti economici, avvalendosi del potere di prevaricazione derivante dalle condizioni di difficoltà economica in cui versavano le persone offese; potere esercitato mediante minaccia, di volta in volta esplicita o velata, di licenziamento”.
Ma vi è di più. Le indagini esperite permettevano di accertare che gli indagati reinvestissero i proventi illeciti, pari a circa 200.000 euro oggi sottoposti a sequestro, nell'acquisto di terreni. Operazioni finanziarie illecite concordate da parte di tutti i sodali, al solo fine di autoriciclare il denaro provento delle estorsioni. In conclusione, l’operazione odierna testimonia, ancora una volta, l’impegno quotidiano della Guardia di Finanza e della Procura della Repubblica di Messina nella lotta alle condotte criminali altamente lesive della persona e dell’attività di impresa.
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