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Messina, operazione Provinciale: ecco la mafia di ogni giorno

In quasi 400 pagine il gup Misale spiega le ragioni delle 29 condanne di marzo per i gruppi di Provinciale, Maregrosso e Fondo Pugliatti, che erano capeggiati da Lo Duca, De Luca e Sparacio

Il sottofondo mafioso di tre rioni spiegato in quasi quattrocento pagine. Dopo condanne che sommate insieme arrivano a quasi trecento anni di carcere. Provinciale, Maregrosso e Fondo Pugliatti come quartieri-emblema del lungo dominio criminale sradicato per l’ennesima volta dallo Stato. Tre gruppi governati dal boss tradizionale, dal “picciriddu” e dal “nipote d’arte”, ovvero Giovanni Lo Duca, Giovanni De Luca e Salvatore Sparacio.
C’è soprattutto questo nelle motivazioni della sentenza del marzo scorso dei 29 giudizi abbreviati dell’operazione Provinciale, scritte in questi mesi dal gup Claudia Misale e depositate in questi giorni per spiegare le condanne. L’ennesima pagina giudiziaria che “certifica” la presenza della mafia oppressiva a Messina, quando fino a non molto tempo addietro c’era perfino chi ne negava l’esistenza. È una mafia di tutti i giorni quella raccontata dal giudice Misale nelle sue pagine, dove accanto alla redditizie scommesse illegali tra la Sicilia e Malta, il nuovo molto conveniente business moderno, ci sono poi le bollette da pagare a fine mese per gli adepti e gli amici, con i prestiti da 100 e 200 euro chiesti in giro e al capo per tirare a campare. Oppure ci sono i tradizionali traffici di droga che si compra nell’onnipresente Calabria e gli inevitabili contrasti sulle piazze di spaccio, l’apertura di bar per guadagnare qualche euro in più che poi diventano vere basi operative, le spedizioni punitive, gli appoggi elettorali al candidato di turno che si è rivolto ai soliti “amici” per provare il grande salto.
E perfino i telegrammi di auguri per le feste spediti ai boss “stranieri” per mantenere saldi i rapporti con Palermo, Agrigento, Caltanissetta e la Calabria («... il 18 dicembre 2017 - scrive il gup Misale -, Lo Duca Anna, su indicazione del fratello Giovanni, mandava dei telegrammi di auguri per le festività natalizie ai detenuti Sandro Lo Piccolo, Gerlandino Messina e Giuseppe De Stefano»).
Afferma ancora il gup su questo punto che «... contrariamente all’assunto difensivo, gli elementi emersi non possono essere letti quale espressione di rapporti interpersonali che il Lo Duca manteneva individualmente con soggetti con i quali aveva condiviso la detenzione, ma devono essere valorizzati nel loro insieme, per coglierne il significato di affermazione del proprio ruolo di esponente criminale».

I rapporti con i calabresi

Il gup parla poi dei rapporti di Lo Duca con i clan calabresi: «... I contatti di Lo Duca con la ’ndrangheta calabrese emergono dai suoi incontri con Giovanni Morabito, nipote di Giuseppe Morabito (il Tiradritto), capo della cosca di Africo. Lo Duca Giovanni si è incontrato con Morabito Giovanni il pomeriggio del 3 aprile 2018 e la mattina del 13 aprile 2018 presso il bar della Lo Duca. Il 20 giugno 2018 presso il bar di Lo Duca Anna si recano due soggetti calabresi - identificati in Bruzzaniti Giuseppe, in base all'uso del veicolo, che aveva contatti con i nipoti del Tiradritto, e Favasulli Costantino, identificato tramite le immagini da carabinieri di Africo -, che volevano parlare con Lo Duca Giovanni. Quest’ultima circostanza conferma che il bar di Lo Duca Anna era conosciuto come la base logistica del gruppo anche al di fuori del territorio locale. Appare verosimile ritenere che Bruzzanti e Favasulli abbiano voluto incontrare Lo Duca su incarico di Morabito Giovanni, che dall'11 maggio 2018 aveva il divieto di ritornare a Messina».
Ecco invece un altro passaggio della sentenza sugli affari dei gruppi: «... Dal compendio delle intercettazioni - scrive il gup -, è anche emerso che Lo Duca Giovanni, Gangemi e Ciampi, in collaborazione con Sparacio Salvatore e Tavilla Antonino, si sono occupati della gestione di diverse sale giochi in cui venivano esercitate le scommesse on line e il gioco d’azzardo, intervenendo sia nel momento della costituzione (si veda ad esempio l’allestimento della sala di Giampilieri) sia quando sorgevano problemi». Su questo punto il gup è ancora più chiaro in un altro passaggio: «... le risultanze del presente procedimento dimostrano ancora una volta come quello delle scommesse e del gioco illecito sia un settore di spiccato interesse da parte dei gruppi criminali che coesistono nel territorio messinese, condiviso secondo logiche di spartizione del territorio e di non belligeranza, in quanto fonte di cospicui e facili guadagni. Lo Duca, come emerge chiaramente dalle risultanze... ha gestito ed organizzato alcune sale presso le quali era esercitato il gioco delle scommesse on line o il gioco d’azzardo».
C’è poi un altro episodio emblematico raccontato dal gup sulla cosiddetta “mafia di tutti giorni”: «... La forza di intimidazione esercitata dal gruppo di Lo Duca emerge negli atti della vita quotidiana. Come emerge dalla conversazioni captate e dalle dichiarazioni rese dall’imprenditore... , incaricato da Lo Duca Giovanni di eseguire dei lavori nel box del mercato ortofrutticolo per Irrera Giuseppe, presso cui lavorava il fratello Lo Duca Roberto, emerge come il maggiorente abbia imposto all’imprenditore il “prezzo” da praticare, senza lasciargli spazi decisionali. Il 29 marzo 2018 Lo Duca telefona a ... per dirgli che doveva ridurre i prezzi praticati e che non doveva fargli fare cattiva figura, per cui ... si impegna a rifare i conti, sottoponendoli prima a Lo Duca».

Estorsioni, scommesse illegali, traffico di droga

Tre le attività di indagine racchiuse a suo tempo nell’ordinanza di custodia cautelare (quella del Nucleo investigativo dei carabinieri relativa a Lo Duca, quella del Gico della Guardia di Finanza su Sparacio e un’altra della Squadra Mobile su Giovanni De Luca) sono emerse - spiega adesso il gup -, estorsioni, scommesse illegali, traffico di droga, condite da intimidazioni, violenze, pestaggi e spedizioni punitive. Tutto doveva essere sottoposto al boss, dai “permessi” a delinquere alle controversie più estreme: una donna della zona, in un caso, si rivolse a lui per far sì che un pregiudicato “liberasse” il figlio minorenne, di fatto sequestrato per via di alcune offese pubblicate su Facebook. Francesco Puleo e Vincenzo Gangemi, poi, individuati quali uomini di fiducia di Lo Duca, dediti al recupero crediti, Maria Puleo si occupava del sostentamento agli affiliati in carcere, Anna Lo Duca, sorella di Giovanni metteva a disposizione un bar anche raccogliere le scommesse sportive online illecite. Immancabile il marchio di fabbrica del traffico di droga, esteso su Fondo Fucile e Mangialupi: partiva da Reggio Calabria e veniva smerciato in riva allo Stretto con l’appoggio di Giovanni De Luca, con cui era stato stipulato una sorta di patto. Dei trasporti si occupavano Puleo ed Ernesto Paone, con l’aiuto di Giuseppe Marra e Mohamed Nanji; Emanuele Laganà era il referente calabrese, dello spaccio vero e proprio incaricati Gangemi, Tyron De Francesco, Domenico Romano, Giuseppe Surace e Mario Orlando. Oltre alla droga gestita “in società” con Lo Duca, Giovanni De Luca estendeva il suo raggio d’azione su Maregrosso. Il taglieggiamento ai danni dei locali notturni era un business irrinunciabile (come già svelato dalla precedente operazione “Flower”): in prima linea Domenico Mazzitello, mentre a Kevin Schepis (con l’aiuto di Giuseppe Esposito) toccava aggredire i clienti dei locali. Rendendo di fatto una necessità la “protezione” del clan. È c’era poi l’associazione riconducibile a Salvatore Sparacio per Fondo Pugliatti, formata pure da Mario Alibrandi e Antonio Scavuzzo.

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