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Omicidio Rizzotti a Barcellona, Tindara madre coraggio: "Mio figlio era un caro ragazzo"

Una donna esile, ma forte. Viso chiaro e occhi azzurri nella penombra della sua casa. Occhi che non hanno più lacrime e non tradiscono nemmeno le emozioni vissute in questi anni di dolore per la perdita del figlio, e soprattutto per la lunga attesa di una verità sull’atroce sorte che è stata riservata 32 anni fa al suo secondogenito Sebastiano. «Io cerco la verità, non cerco altro», ripete fino all'ossessione Tindara Famà, la madre coraggio di Sebastiano Rizzotti, il giovane eliminato con l'atroce metodo della “lupara bianca”. E ripete ancora: «Cerco di sapere la verità e non cerco altro. E mi faccio ammazzare per la verità, perché sono stata sempre così. Non ho mai raccontato bugie sulle persone, io cerco solo la verità». Anche perché mamma Tindara Famà ha conosciuto anche quel “Renzo” che secondo le indagini della Dda avrebbe attirato con l'inganno suo figlio Sebastiano Rizzotti nel tranello teso nel pomeriggio del 7 aprile del 1990. Quel Renzo Messina, amico d’infanzia, che con l’aiuto di Domenico Abbate avrebbe condotto la vittima fino al luogo, non ancora individuato, nel quale dopo un’esecuzione sommaria è stato seppellito Sebastiano.
Sulla sorte toccata al figlio, mamma Tindara dal 2011, quando sono comparsi i primi collaboratori di giustizia e sulla “Gazzetta del Sud” i primi nomi di boss, killer e gregari, ha iniziato a scrivere al procuratore Guido Lo Forte. «Quando ho mandato la prima lettera sono stata chiamata in caserma dai carabinieri. Sono venuti da Messina per parlare con me ed ho raccontato chi era mia figlio, cosa faceva, chi frequentava e chi lo aveva cercato per l’ultima volta».
Mamma Tindara è ferita dal resoconto delle indagini che indicano il figlio come affiliato al clan Chiofalo. E come madre dice semplicemente: «Mio figlio non faceva parte del clan Chiofalo. So io come ho cresciuto cinque figli. Lui era il secondogenito. Un caro ragazzo glielo assicuro con tutta l’anima, con me, con le tre sorelle e con suo fratello, con tutti. Noi siamo stati sempre una famiglia unita. Lo dico io, ma lo dicono anche gli altri, lui non ha mai conosciuto Pino Chiofalo che all’epoca era stato già arrestato».

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