E' morto don Giacomo Fazio, per oltre 60 anni parroco della parrocchia Maria Santissima della Consolazione Gravitelli Inferiore e decano della Chiesa Messinese nella quale ha ricoperto anche incarichi in Curia. Per alcuni anni ha curato una rubrica alla RTP dal titolo "Sto alla porta e busso".
Nato a Camaro superiore, l'11 agosto 1935, da mamma Antonia Cucinotta e papà Orazio, era uno dei sacerdoti “anziani” dell’arcidiocesi, di quelli “all’antica”, rimasti quasi per tutta la vita nella stessa comunità.
Don Giacomo Fazio, una storia di consolazioni
Dopo aver curato le pecorelle di Scaletta superiore per 4 anni, agli inizi degli anni 60, padre Giacomo Fazio fu inviato, dall’allora arcivescovo mons. Fasola, alla guida della parrocchia di Gravitelli, “S.Maria della Consolazione”. «Una chiesa – ricorda – che nel 1964 era solo un rustico e che si trovava in un quartiere difficile e diffidente nei confronti dei forestieri». Il padre del giovane sacerdote allora 29enne non accettò di buon grado questa destinazione a differenza di padre Fazio che la accolse con obbedienza. Racconta: «Ho buttato tanto sangue per promuovere e migliorare la zona. Ho subito furti, danneggiamenti e persino un incendio della chiesa. Non è stato facile per me abbattere quella coltre di diffidenza che si era creata nei confronti di un prete che voleva scombussolare “i piani ”della mala di allora».
Quell'abbraccio che cambia la vita
Si ragionava ancora in lire quando un ladro - un giovane di Torino in visita dalla sorella a Messina - lo derubò sottraendogli il portafogli dalla canonica. Lui, don Fazio, prima lo rintracciò facendolo condannare. Ma poi lo perdonò e, subito dopo la lettura della sentenza, lo abbracciò e baciò dicendogli: "Forse è stato il Signore che ti ha portato nella mia chiesa perché tu possa chiudere col passato e avviarti sulla strada del bene".
"Pugno di ferro e guanto di velluto"
Poi, prevalse fra tutti l’insegnamento di suo padre che gli raccomandò: «Usa il pugno di ferro, ma con un guanto di velluto». Padre Fazio così per aggirare l’ostacolo aprì in parrocchia una scuola di karate ed egli stesso partecipava agli allenamenti con gli altri. Ben presto fu apprezzato e benvoluto. La conquista era avvenuta e padre Giacomo da allora si dedicò anche alle altre pecorelle, i poveri, i piccoli, per i quali ebbe sempre una grande attenzione.
"A Messina serve una rivoluzione"
Non era tenero nel giudizio sulla città, sulla pulizia, sull’ordine pubblico. Men che meno lo è nei confronti dei sacerdoti. «Messina ha bisogno di una rivoluzione di noi preti», tuona. «Nessuno si scandalizzi. Io mi considero un anticlericale. Nel senso che farsi sacerdote con l’idea di far soldi, per egoismo, per portarsi avanti, per avere degli onori, è un vero fallimento. Farsi prete significa lasciarsi “mangiare” dalla gente e fare l’odore delle pecore, sporcarsi le mani, insomma. Il resto non va bene».
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