La Via della Seta, la messinese che a Villa ha soffiato nell'anima della Filanda Cogliandro FOTO VIDEO
«Tante persone ci hanno contattato, segno questo che sta crescendo l'entusiasmo degli abitanti. Ma la cosa più bella è vedere fiorire i ricordi. L’incontro con il prof. Pasquale Filippelli, esperto tessile di fama internazionale, ha dato l’input per immaginare uno step successivo al recupero degli immobili, cioè sviluppare un progetto che riguardasse non soltanto i contenitori ma anche i contenuti. Così ho fatto anche quest’esperienza insolita, frequentare il corso di bachi-sericoltura di Acri che mi ha consentito di mettere in pratica le nozioni acquisite avviando il primo allevamento di bachi da seta alla Filanda Cogliandro. Dopo 71 anni di stop». La storia è assai entusiasmante. E dietro c'è un ponte che unisce Messina alla Calabria. E soprattutto due professionisti, compagni di vita, Benedetta Genovese e Nino Cogliandro, che si sono lanciati in un progetto meraviglioso perché porta al recupero della storia per ridisegnare il futuro. Ma procediamo per gradi. Viaggiando nel tempo. Tra presente e passato.
L'obiettivo dell'associazione
«Sono nata a Messina – racconta Benedetta Genovese, presidente dell' associazione Filanda Cogliandro – ma per frequentare il corso di laurea in Architettura mi sono spostata a Reggio Calabria dove ho conosciuto Nino. Abbiamo iniziato il nostro sodalizio, lo ricordo con piacere, frequentando il corso di Restauro architettonico tenuto dal prof. Massimo Lo Curzio, e sviluppando un progetto per il restauro della Filanda Cogliandro nel 1992. E da lì il lavoro per realizzare la nostra visione di un Centro culturale all’interno della Filanda non si è mai fermato». Una storia costellata di coincidenze e casualità, ma anche di impegno e sacrifici, perché la coppia ha deciso di investire i risparmi e l' esistenza per dare vita a qualcosa che rappresenta un'iniezione di ottimismo per tutta la nazione. «L’obiettivo dell’associazione “Filanda-Cogliandro" è la tutela, la salvaguardia e la valorizzazione del patrimonio di archeologia industriale costituito dalle storiche filande di Villa San Giovanni , con particolare riferimento alla Filanda Cogliandro legata alla famiglia di mio marito. L’iniziativa vuole essere anche un monito indiretto rispetto ad eventuali speculazioni edilizie a discapito della conservazione delle poche filande villesi rimaste e allo stesso momento può costituire un “riflettore” sul tali manufatti storici con grande valenza architettonica, culturale e turistica. Da valorizzare, finalmente, in maniera concreta e compiuta. Immaginiamo inoltre il recupero della filiera della produzione serica a partire dai gelseti, per passare all’allevamento del baco e alla filatura e tessitura».
La nascita della filanda
E da qui si accendono i flashback. E si arriva alla metà dell' 800, quando Villa San Giovanni veniva chiamata "la piccola Manchester". Nel 1780 il governo del Regno di Napoli consentì la realizzazione della prima scuola opificio finanziata dai Caracciolo. E in seguito la produzione ha raggiunto livelli importanti soprattutto in Gran Bretagna, basti pensare che nel 1863 tra Cannitello e Villa San Giovanni esistevano 120 filande grazie anche ad una collaborazione calabro-britannica con gli Hallem e gli Eaton, che introdussero la caldaia a vapore e favorirono l'esportazione all' estero. Un bel vanto. «I Cogliandro avevano una storia diversa – riprende la Genovese – perché erano degli armatori, ma poi per problemi economici si reinventarono filandieri e nel momento in cui decisero di realizzare una filanda nel 1896 cominciarono questa produzione con la caldaia a vapore. E i documenti ci dicono che l'esportazione avveniva in Francia, a Londra e in Australia. Ma la cosa interessante è che la vendita avveniva attraverso il porto di Messina perché i filandieri di Villa San Giovanni avevano un appoggio in un deposito di Roccalumera.
Aneddoti e futuro
E un diario familiare ci racconta molti aneddoti. I Cogliandro neanche dopo il terremoto del 1908 si fermarono, anzi hanno ricostruito e si sono anche allargati. Ma tutto scomparì dopo la guerra per favorire la ricostuzione del Nord . E gli industriali comprarono i nostri macchinari con pochissime risorse. Ma non vi fu fortuna neanche lì perché le fibre sintetiche scalzarono la produzione della seta e anche l' inquinamento non aiutava la produzione. E poi la concorrenza asiatica fece il resto». E intanto si pensa al futuro con ottimismo. «Il progetto ad oggi è stato finanziato esclusivamente con fondi privati. Non c’è stato mai stato un reale interesse pubblico. Stiamo effettuando un censimento dei gelsi presenti sul territorio per reperire il fogliame necessario all’allevamento di primavera. In attesa di impiantarne di nuovi. Per questo step speriamo di coinvolgere anche altre realtà cittadine in modo da riprendere la tradizione del “gelseto ed allevamento diffuso”». I due professionisti stanno pensando a una raccolta fondi per completare il progetto visto il grande interesse che ha suscitato la notizia della ripresa dell' allevamento. E commuove sentir dire alle battute finali che è arrivato il momento di far conoscere l’espressione del lavoro, della dedizione e dell’orgoglio calabrese e siciliano.