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Messina, i riflettori delle Iene sulle favelas. Chi vive in baracca muore 7 anni prima

Andato in onda su Italia 1 un ampio reportage dedicato alle aree baraccate in riva allo Stretto. «Non ci sono paragoni in Occidente».

Non è stato il solito reportage. O meglio, è stato il solito reportage ma in uno scenario che sta evolvendosi. Le telecamere delle “Iene” (la seguitissima trasmissione di Italia 1) sono sbarcate in riva allo Stretto, indovinate per cosa? Risposta troppo facile: le baraccopoli. Ma nel suo ampio servizio, Giulio Golia è stato onesto nel ritrarre una situazione che, come è stato detto, «nel mondo occidentale non ha paragoni, per trovare le favelas bisogna andare in Africa o in Sudamerica». Ha documentato, ha sentito tanti baraccati, alcuni ormai “ex”, altri ancora residenti nei tuguri, e ha dialogato a lungo con Marcello Scurria, presidente di Arisme.
La ripetizione del “luogo comune” – «Vi parliamo delle 80 baraccopoli abbandonate nel degrado dal terremoto del 1908 dove vivono 10mila persone, anche malati e bambini» – c’è stata, anche se poi con immediata correzione. L’inviato delle “Iene” lo ha precisato: erano baracche nate dopo il terremoto, molte costruite durante il Fascismo, poi si sono moltiplicate nei decenni successivi. L’impatto mediatico non poteva non esserci, perché un conto è sottolineare (e la Gazzetta lo fa da decenni) che il sisma del 1908 non c’entra più nulla e che queste sono sacche di degrado urbano come ne esistono in migliaia di altre realtà urbane italiane, europee e mondiali, un conto è negare l’evidenza. E cioè che, comunque, in queste baracche ci hanno vissuto decine di migliaia di nostri concittadini e che ancora oggi si sta cercando di dare una casa degna di tal nome a 2500 nuclei familiari, oltre 8mila persone.
Marcello Scurria è stato lucidissimo nella sua analisi, non ha nascosto nulla ma ha anche ribadito quello che si sta facendo, grazie – per la prima volta in assoluto – a un Governo, e a una ministra della Repubblica (Mara Carfagna), che hanno dato vita alla legge speciale per Messina, stanziando 100 milioni di euro e affidando i poteri straordinari alla commissaria-prefetta Cosima Di Stani. Su questo punto, in realtà, non ci si è soffermati molto ed è una pecca del reportage. Scurria non ha occultato dati e cifre di un’emergenza sociale drammatica, indicando la “favela” di Fondo Fucile come la zona d’Europa a più alta concentrazione di persone costrette agli arresti domiciliari. Il disagio socio-abitativo è strettamente connesso al condizionamento criminale, alla presenza dei clan mafiosi sul territorio, a inquietanti fenomeni di microcriminalità.
«Abbiamo fatto una scelta, quella di dare una casa a tutti, perché solo così sradicheremo questa piaga». E oggi Fondo Fucile non è più abitata dalle oltre 140 famiglie che ci vivevano fino a poco tempo addietro, anche se i riflettori delle “Iene” hanno mostrato inequivocabilmente i segni di questa fase di “passaggio”, dove la baraccopoli è un ammasso di casette semidistrutte, trasformate (come è accaduto a Giostra e in altri rioni) in vere e proprie discariche a cielo aperto. «Preferisco che ci siano i rifiuti, piuttosto che le persone – ha detto Scurria –, tanto qui, fra qualche mese, demoliremo tutto». E sempre il presidente di Arisme ha fornito un dato che ha quasi “scandalizzato” il bravo Golia: «I messinesi in baracca vivono 7 anni in meno rispetto alla media». Era il dato emerso nel Report, commissionato dalla Fondazione di Comunità, e pubblicato nel 2019, in riferimento alle baraccopoli di Fondo Fucile e di Fondo Saccà. Quelle baraccopoli che oggi sono in via di demolizione. «Qualcosa sta cambiando», è la conclusione del servizio, pur condita dalla nota di amarezza. «Per decenni si è preferito mettere la polvere sotto il tappeto», ha ripetuto Scurria. E si sono costruite campagne elettorali e carriere politiche, le baracche sono state uno strumento al servizio delle più clientelari commistioni tra politica, bisogni e interessi criminali.

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