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Il falso mito di Messina lontana dalla mafia: l'Università organizza un convegno FOTO

Ha offerto molti spunti di riflessione la prima giornata del convegno “Mafie tra continuità e mutamento: analisi, esperienze, narrative” organizzato dall’Università.

Un racconto a più voci per affrontare il tema sulle mafie sotto varie aspetti con un occhio attento su Messina per sfatare il falso mito di provincia lontana da dinamiche mafiose. Ha offerto molti spunti di riflessione la prima giornata del convegno “Mafie tra continuità e mutamento: analisi, esperienze, narrative” organizzato dall’Università.

L’iniziativa rientra nell’ambito del progetto di ricerca MessCa: “Mafia-type organised crime in the Province of Messina” finanziato della European Research Executive Agency della Commissione Europea. Responsabile scientifico del progetto è Rossella Merlino, ricercatrice (Bangor University-U.K.) sotto la supervisione del professore Luigi Chiara presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Giuridiche dell’Università. Si tratta di due giornate di incontri nelle quali studiosi, magistrati, ricercatori, esperti e giornalisti si confrontano per parlare di mafie.

“E’ un convegno interdisciplinare- ha detto il professore Chiara aprendo i lavoro – così come il progetto di ricerca che la dottoressa Merlino ha presentato e che si fonda sul fatto che Messina è una delle città che nel racconto storico dello sviluppo delle associazioni mafiose è stata scartata. La domanda è stata dunque perché ciò è accaduto e per quale motivo è stata ritenuta una provincia dove non ci sono caratteri del fenomeno mafioso cosi come nella Sicilia occidentale e nel palermitano”.

Da qui il progetto di ricerca “ si è pensato – ha aggiunto – ad una analisi interdisciplinare per fotografare la mafia o le mafie come una parte del più complessivo sistema di potere”. Il rettore Salvatore Cuzzocrea, introducendo i lavori ha sottolineato la necessità di parlare di mafia “questo è un momento di confronto, occorre parlarne e dire senza paura che la mafia va combattuta, è importante che tutte le istituzioni discutano di un tema che è in continuo mutamento in un momento complesso come quello che stiamo affrontato”. Ha ricordato l’accordo tra l’università e la Guardia di Finanza: “non v’è dubbio- ha detto - che sta arrivando una mole di denaro importante e su questo dobbiamo elevare livelli di guardia ”.

La prima giornata di studi del convegno è stata dedicata alle “mafie di ieri e di oggi modelli ed analisi” ne hanno discusso Francesco Benigno, della Scuola Normale superiore, Enzo Ciconte dell’università di Pavia, Felia Allum dell’università di Bath nel Regno Unito e Rossella Merlino ricercatrice. Alla domanda su cosa si intende quando si parla di mafia ha risposto nel suo intervento il professore Francesco Benigno “bisognerebbe abbandonare – ha detto - il pregiudizio antico per cui i criminali sono un popolo separato, simili a se stesso, relegati in una realtà opposta al resto della società, fermi mentre il resto della società si muove. Adottare una dimensione processuale, invece è necessario perché vuol dire essere attenti al mutamento, quindi pensare una organizzazione criminale che sia immutata è irrealistico”.

“Oggi la mafia- ha detto - non può più essere la grande scusa dei nostri ritardi, della nostra incapacità, dei problemi economici e sociali, abbiamo bisogno di una visione processuale aperta e più libera, capace di dire le cose come sono andate. Ha concluso citando Gramsci: “la verità è sempre rivoluzionaria”. L’evoluzione della mafia a Roma, dai bulli al mondo di mezzo è stata al centro della relazione del professore Ciconte che ha sottolineato come il fenomeno a Roma per anni ha avuto una connotazione particolare “c’è una presenza dell’organizzazione criminale molto particolare che si snoda per la città ma non viene avvertita come inquietante e pericolosa eppure se certe vicende del passato fossero accadute in Sicilia o in Calabria qualsiasi magistrato non avrebbe esitato a indagate per mafia”. Infine ha parlato del processo mafia “la Cassazione- ha detto - non accetta che quella sia un organizzazione mafiosa, a me la cosa non convince”.

“A Roma si continua a ritenere che la mafia non c’è che è un problema del sud di Sicilia, Calabria, Campania, io credo che questo sia un atteggiamento sbagliato”. Sul tema della transnazionalità della mafia è stata centrata l’interessante relazione di Felia Allum che da parecchi anni si occupa di camorra napoletana: “ormai il problema delle mafie e del crimine organizzato non è più solo italiano ma del mondo e anche di altri paesi” ha detto facendo poi una riflessione sulle mafie che si importano e si esportano e sul rapporto tra contesti locali e contesti transnazionali.

“Mi sembra che cambiando la situazione economica, le mafie italiane mutano e si adattano facilmente, anche grazie all’area grigia che non è solo italiana ma transnazionale”. “Vedo la criminalità organizzata inglese che è disorganizzata in confronto a quella italiana che è molto più strutturata, ha una capacità di capire come andare avanti credo che guardare alla struttura forse è un modo per capire meglio queste organizzazioni”. ha concluso. Infine Rossella Merlino, ricercatrice, studiosa di riti e simboli della mafia, dei pizzini dei mafiosi e del loro significato, ha esposto parte dei risultati della sua ricerca soffermandosi sul fenomeno mafioso nella provincia di Messina in una prospettiva interdisciplinare, un progetto che ha dimostrato come la mafia a Messina era presente fin dall’Ottocento.

“Il progetto - ha affermato - è nato dalla consapevolezza del fatto che la provincia di Messina era stata quasi del tutto trascurata nella letteratura specialistica in tema di mafia, una sottovalutazione che sorprende se si considera il radicamento del fenomeno mafioso su un territorio e la peculiarità del capoluogo peloritano che è un importante crocevia di interessi di cosa nostra palermitana, catanese e della ndrangheta.

E’ stata accertata la capacità delle consorterie messinesi di relazionarsi con le organizzazioni criminali delle altre province. Questo lo dimostrano anche le recenti inchieste sulla mafia dei Nebrodi, che hanno messo in luce l’evoluzione del modo di operare delle associazioni mafiose del territorio che sono passate da una situazione di conflitto aperto, ad una situazione di accordo mettendo in piedi un sistema sofisticato di intercettazione di finanziamenti europei per l’agricoltura”. Il primo obiettivo è stato quindi di rivalutare il contesto di Messina nell’ambito degli studi sulla mafia. Le sue ricerche hanno portato a evidenziare una rete criminale che lega Messina a New York già nell’Ottocento ma nel dibattito parlamentare dell’epoca prevalse l’immagine di Messina come città tranquilla “questo- ha concluso - è un falso storico, una propaganda funzionale per occultare il fenomeno che qui si sviluppò in modo tanto massiccio quanto incontrastato”. Oggi il convegno prosegue a partire per parlare di “Antimafia: e nuove strategie per nuove sfide?”.

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