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S. Stefano, l'addio a Mariolina e Ale: "Profondo silenzio e riflessione. Stiamo accanto ai ragazzi"

Tutti lì. Intorno a due bare, davanti all’altare, sotto una croce.
Santo Stefano c’era, c’era tutta, raccolta in una celebrazione essenziale, nessun discorso, sarebbe stato straziante, ancora di più. Il dolore di ciascuno nascosto in un silenzio assoluto, spezzato solo dalla liturgia. Un silenzio che nel tacere unisce, religioso nel suo senso pieno.
Per Mariolina ed Alessandra che “erano”, come a rimarcare un tempo imperfetto, un femminile plurale che racconta insieme due storie passate e prossime, intrise l’una dell’altra e condivise fino all’ultimo giorno.

Le saracinesche abbassate, la percezione della vita sospesa, il buio profondo squarciato da un sole prepotente. La Chiesa Madre e la piazza, madre anch’essa. Il libro della Sapienza, il Discorso della Montagna e le sue Beatitudini. La solitudine solidale, quanto di più umanamente inspiegabile, l’insostenibile pesantezza dell’essere tradotta dal senso cristiano della morte che matura nel passaggio. Dentro i parenti, Maurizio, marito di Mariolina e padre di Alessandra. Le nonne, gli zii, che in questa tragedia sono anche madri e fratelli. Le autorità civili, il sindaco Francesco Re e il vice Fausto Pellegrino, il preside del Liceo Artistico che Alessandra frequentava, Calogero Antoci e i suoi professori. Fuori i compagni, i genitori, l’abbraccio stringente, senza fiato della comunità.
«Siamo qui in tanti, con il nostro carico di dolore, le domande, i silenzi, le lacrime. Ma anche con i tanti ricordi, le testimonianze. Una morte che ci ha colti di sorpresa, una scomparsa che ci impoverisce. Mariolina e Alessandra ce le siamo sentite rubare, non vedremo più i loro volti, i loro sorrisi. Ma non possiamo fermarci su pensieri senza speranza. Perché simili tragedie non accadano più, tutti siamo chiamati ad interrogarci, a sostenere quelle fragilità che impediscono all’uomo di vivere con gioia e serenità la vita personale, familiare, comunitaria».
Comincia così l’omelia di Mons. Guglielmo Giombanco vescovo di Patti, che ha presieduto la Santa Messa concelebrata col parroco, Don Calogero Calanni, col suo vice, padre Batina e con don Salvatore Chiacchiera, il suo predecessore.
Poi continua, parla a ciascuno. «Non serve cercare spiegazioni, tantomeno servono sensi di colpa, perché distruggono i cuori. Mi rivolgo a voi, compagni di Alessandra. Amate la vita, anche quando è difficile. Sono le esperienze forti che fanno crescere. Coltivate sogni, tendete ad alte vette, fuggite le scelte mediocri. Senza mai dimenticare che c’è sempre qualcuno che ha bisogno di te, del dono del tuo tempo, della tua vicinanza. Ai sacerdoti, ai genitori, agli insegnanti, agli educatori… accompagnate i vostri ragazzi ma non sostituitevi a loro. Penso alla tenerezza delle mamme, al loro ruolo insostituibile. A tutta la città. Oggi piangiamo Mariolina e Alessandra, ma da questo dolore deve nascere l’impegno a costruire luoghi di ascolto, spazi di formazione, proposte di verità sul senso dell’esistenza. C’è bisogno di tutto questo, in questo tempo inquieto, incerto e fragile. Tutto non può finire nel nulla, morire non è inabissarsi, ma cadere nella luce di Dio».
Quando la bara di Mariolina e quella bianca di Alessandra sono uscite dalla chiesa, la piazza si è sciolta in un applauso. Al cimitero, ad assistere alla sepoltura solo i parenti. Quello, quell’applauso è stato l’ultimo contatto, di mani nelle mani, che dicono addio.

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