Tornare all'Archimede dopo oltre trent'anni ha il sapore dolceamaro della nostra meravigliosa giovinezza, con i compagni di classe mai andati via da quei banchi smerlati di formica verdescuro pieni zeppi di scritte tipo “Gabriella ti amo aspettami all'uscita” e “Meno male che è finita la settimana”. Il liceo scientifico è sempre lì, staticamente immerso ai piedi nella collina accanto allo svincolo del Boccetta, gigantesco con le sue lunghe file di finestre che eravamo quasi duemila ai nostri tempi, le bandiere sopra il portone, la scalinata d'ingresso che si saltava a piè pari, i corridoi immensi, la vecchia Fonderia Ragno in fondo, il viale laterale dove parcheggiavamo le moto. Compie 50 anni di vita l'Archimede, ha raggiunto la sua piena maturità che è stata tante volte anche la nostra, d'intere generazioni di studenti che non l'hanno mai dimenticato. È un'occasione da celebrare.
C'è un cartello ora appeso al cancello di ferro, recita “Vietato l'accesso a chiunque” abbia i sintomi di questa maledetta febbre collettiva chiamata Covid-19. Eh ma noi andiamo, abbiamo appuntamento. All'ingresso c'è la guardiola dei bidelli, la gentile signora apre lo sportellino “Buongiorno, desidera?”, “Mi scusi avrei appuntamento con la preside devo...”, “Un attimo, sì, nome cognome data di nascita e indirizzo, che lo scrivo sul registro” e apre il librone, scorre il foglio con la penna, che meraviglia, (“ma che è un posto di blocco 'na frontiera?”, direbbe Totò). Ah, il registro, che ricordi. Sono cominciate le vacanze di Pasqua e ragazzi non ce ne sono di mattina, si sente solo il vociare dalla stanza dei professori, che spezza il silenzio. E subito quella vetrata colorata gialloblù che porta alla palestra scoperta, emblema storico dell'ingresso, è un colpo ben duro e assestato ai ricordi.
La preside Laura Cappuccio governa il liceo da quasi un anno, ci aspetta nel suo studio, al primo piano, sempre quello con la finestra che dà sulla strada, con le bandiere davanti. Ora è più grande di un tempo, moderno, luminoso, si chiacchiera del più e del meno e stordito dai ricordi viene fuori uno strampalato “Ma come può essere che una del La Farina è diventata preside dell'Archimede?”, e lei da donna intelligente e spiritosa mi risponde pure ridendo! «Beh, che vuole, così sono i movimenti dei dirigenti scolastici, io ero in provincia, a Venetico, e mi hanno assegnata qui, eh eh... ma il processo identitario è cresciuto quasi subito sa, non sono più “straniera in patria”...». Poi si prosegue: «Il liceo Archimede era senz'altro il più giovane, si è sempre caratterizzato per quest'aria di innovazione nell'organizzazione didattica, che è una fisionomia che ha mantenuto, perché qui sono nate le sperimentazioni più importanti per l'impianto educativo e scolastico della città».
Oggi come siete strutturati?
«Oggi è un moderno liceo scientifico e linguistico, uno dei primi che ha avuto la possibilità di realizzare l'offerta formativa anche nell'ambito del Linguistico. All'interno del liceo scientifico ci sono tutta una serie di curvature che vanno molto incontro alle esigenze del presente. In particolare noi abbiamo sia le scienze applicate che i potenziamenti che riguardano lo Stem e il Biomedico, e incontrano molto il gradimento dell'utenza scolastica, soprattutto per quei giovani che desiderano orientarsi verso le discipline scientifiche, la tecnologia, l'informatica. La nostra poi è una scuola che si caratterizza per la presenza di parecchi laboratori: ne abbiamo due di Fisica, due nel campo scientifico, che normalmente sono stati utilizzati dai ragazzi e dagli insegnanti. Poi l'edificio è particolarmente grande e ricco di spazi, e siamo riusciti a fare scuola in questo periodo in maniera quasi regolare. In questo momento per esempio abbiamo sempre il 60% della popolazione scolastica che frequenta regolarmente le lezioni, e gli alunni sono circa mille e cento».
Il covid secondo lei come ha inciso nel rapporto tra professori e studenti, i nostri ragazzi sono molto spaesati in questo periodo...
«Noi abbiamo trovato un certo equilibrio, con l'utilizzo di diverse metodologie, per cui anche nell'alternarsi nella didattica a distanza e in presenza si è mantenuto un rapporto che abbiamo cercato di rendere sempre più affettuoso nei confronti dei ragazzi, in maniera tale che non ci fosse il distacco fisico, emotivo. È anche vero che non è sempre stato facilissimo, e ora che sono passati diversi mesi dall'inizio dell'epidemia cominciamo a vedere quei fenomeni in cui ci sono dei ragazzi che, almeno alcuni, hanno trovato nella casa una tana, un rifugio, e quindi cominciano anche ad avere delle difficoltà nel rientro. Sono casi isolati ma si cominciano a vedere, perché sostanzialmente hanno perduto quella quotidianità di relazione fra compagni e insegnanti che è poi la caratteristica principale della scuola in presenza. Noi per cercare di evitare tutto questo abbiamo fatto in maniera tale che, ovviamente ad eccezione di quel periodo di lockdown totale, tutti i ragazzi fossero presenti a scuola, a rotazione. La didattica a distanza ci ha insegnato tante cose, però certamente io e anche gli insegnanti preferiamo averli a scuola gli alunni».
Secondo lei, che è da tanti anni nel mondo della scuola, che effetti avrà sui ragazzi in futuro questa pandemia, voi li avete già studiati diagnosticati, sicuramente...
«Sì, cominciamo a toccarli con mano. Intanto è palpabile una paura dei pericoli che sono esterni alla loro comunità familiare, quindi i ragazzi un po' subiscono il timore che possa accadere qualcosa a loro, ai loro genitori, ai familiari più stretti, e questa paura li accompagna. E naturalmente determina anche, non dico già delle difficoltà di relazione, ma certamente sono paure che prima o poi verranno a galla, anche laddove sono ancora latenti. Nella comunità scolastica noi cerchiamo per esempio di utilizzare il più possibile gli spazi all'aperto, perché in questo periodo è stata tolta completamente l'attività motoria, che è un elemento fondamentale non solo per la salute fisica ma anche per quella psicologica, perché la possibilità di venire a contatto con le proprie emozioni vive anche attraverso il movimento, e questo genera una serenità che poi si riverbera nei rapporti sociali. Non è facile restituire appieno questo tipo di dimensione. Secondo me noi avremo degli effetti a lungo termine che cominciamo a vedere adesso ma che dovremo gestire anche nel lungo periodo. Per fortuna come docenti abbiamo tutti le antenne dritte, noi cerchiamo di non lasciare nessuno solo, è importante che ogni ragazzo mantenga questo legame forte con la comunità scolastica».
Un'ultima cosa, un messaggio della preside del liceo Archimede agli ex alunni e a quelli di oggi...
«Io credo che la comunità è una, nel passato e nel presente, io l'ho avvertito fortissimo, perché la scuola è sempre una comunità viva. A me fa piacere ricostruire una storia che sembra piccola, ma che in realtà racconta moltissimo del nostro territorio, di chi siamo». E dopo le amabili chiacchiere c'è il lungo giro tra le aule, le palestre, il plesso nuovo, la biblioteca molto fornita, passando per grandi corridoi e scalinate. E l'immancabile fantasia li riempie di compagni durante la ricreazione, sembra quasi di sentire quell'assordante meraviglioso vociare. Entriamo in quella che per lo scrivente fu la 5° I dell'ultimo anno, 1983, tra i banchi... sulla parete appare un più recente “8.10.2015... ti amo, N.”... una lacrima. E come direbbe l'Altissimo Vate, galeotto fu il muro e chi lo scrisse.
Tanti auguri caro vecchio amato liceo Archimede...
Il prof. Nicolò Fagnanie il discorso del '71
Fu il prof. Nicolò Fagnani, che è stato per migliaia di studenti un pilastro del liceo Archimede, a pronunciare l'orazione inaugurale nel 1971, quel 2 di aprile. Pagine fitte fitte che delinearono la figura del grande scienziato siracusano. Ecco solo l'incpit: «Signor preside, signori professori, alunni a noi cari. Vogliamo anzitutto osservare che questa nostra conferenza costituisce un avvenimento storico, perché, dopo più di 2200 anni, è per la prima volta, dietro spinta ed idea del prof. Alessandro Tommasini, che la nostra città ricorda un figlio grande della nostra terra, proponendo di dare a questo liceo scientifico il nome di Archimede. E noi, che partecipando a questa nostra conferenza, possiamo ben asserire di appartenere alla storia».
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